Firenze, 13 luglio 2020 - «Io non ho paura di nulla", ripeteva Giampiero Vigilanti, quando, dopo pagine e pagine di verbali riempiti davanti al procuratore Paolo Canessa e ai carabinieri del Ros del colonnello Domenico Strada, venne formalmente iscritto sul registro degli indagati per i delitti del mostro di Firenze. Era il maggio 2017, la notizia trapelò soltanto a fine luglio. Vigilanti, altissimo e tatuato, nato a Vicchio, si trovò taccuini e telecamere all’uscio di casa, al Cantiere di Prato, e non parve neanche troppo contrariato. Indossava la stessa maglietta da legionario con cui oggi ha affrontato un’altra battaglia, dopo quelle in Indocina. Nella rsa ’Casa di Marta’ non lo ha fiaccato neanche il Covid. Anzi: la struttura che lo ospita da quando per l’accusa di maltrattamenti non vive più con la moglie, è rimasta indenne alla tempesta coronavirus.
E così, a Vigilanti non resta che affrontare l’ultimo scoglio dei suoi quasi 90 anni di vita affascinante e misteriosa: l’inchiesta sulla strage di giovani coppie che segnò Firenze tra il 1968 e il 1985. L’emergenza ha fatto slittare l’udienza a ottobre. La procura che lo ha indagato non ritiene di aver l’asso nella manica in mano. Ma un quadro dai tratti non troppo marcati e dai contorni sbiaditi. Come una fotografia di più di 50 anni fa. Perché dal 1968 ad oggi, nella storia dei delitti del mostro, è successo di tutto: indagini sbagliate, piste a vuote, assoluzioni, condanne. E depistaggi: uno, la procura lo ipotizza intorno alla cartuccia Winchester spuntata dall’orto di Pacciani, nella maxi perquisizione del 1992. Quel faldone che giace nella stanza del procuratore aggiunto Luca Turco sarebbe un primo passo verso una revisione storica e globale di tutto quello che è stato il mostro. Oggi. Con la giusta distanza dal clamore degli arresti, e davanti a protagonisti che non ci sono più.
I «sardi», primi indiziati per i delitti seriali, nonché sospettati dell’iniziazione della calibro 22 a Signa, continuano a far scervellare gli inquirenti, per quel ruolo/non ruolo dentro al canovaccio di questo thriller. A montare il mistero contribuisce la fine di Francesco Vinci, ucciso, incaprettato e bruciato prima dell’inizio del primo vero processo ’mostro’. E suo fratello Salvatore: ufficialmente, è irreperibile. Nessuno sa se sia ancora vivo. Nel febbraio ’98, Pacciani è stato il primo ad andarsene, tra i compagni di merende. Recentemente, in un’intervista, l’investigatore Michele Giuttari ha ribadito i propri dubbi su quella morte, aggiungendo un particolare sinora ignoto: uno straccio imbevuto di varechina avvolgeva la cinta del contadino al momento del ritrovamento.
Senza gli sgangherati membri di quella comitiva otto volte assassina (secondo le sentenze), composta oltre che dal Vampa da Giancarlo Lotti e Mario Vanni (non da Giovanni Faggi, assolto); con una verità giudiziaria zoppa perfino sui misteri del medico Narducci e del lago Trasimeno, Vigilanti è l’unico testimone vivente della storia infinita. Pure nella Rsa, arrovella il dilemma degli investigatori, custode istrionico di segreti inconfessabili o burlone narciso, nostalgico delle sue battaglie. Eppure, la sua macchina sportiva rossa con il cofano nero, la videro davvero, nelle notti del mostro. Il suo nome emergeva, perfino nelle informative segretissime dei Servizi, nel 1985. Non è stato mai indagato, all’epoca; oggi sì. Solo lui sa quando gli inquirenti si sono sbagliati.
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