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Multiutility, il dibattito: "Aggregarsi conviene. Una scelta di efficienza che produce vantaggi"

Parla l’ex ministro Galletti, tra i protagonisti della nascita del colosso Hera in Emilia Romagna: "Una grande dimensione abbatte i costi Il nostro sbarco a Piazza Affari? Ha portato risorse per gli investimenti".

Gian Luca Galletti, ex ministro nei governi Renzi e Gentiloni, ex assessore a Bologna con il sindaco Guazzaloca e uno fra i protagonisti della nascita del Gruppo Hera

Gian Luca Galletti, ex ministro nei governi Renzi e Gentiloni, ex assessore a Bologna con il sindaco Guazzaloca e uno fra i protagonisti della nascita del Gruppo Hera

di Lisa Ciardi

FIRENZE

Con la nascita di una grande holding dei servizi, i Comuni perdono o acquistano potere? E l’ingresso in Borsa può essere una minaccia per il ruolo pubblico? Mentre va avanti in Toscana il dibattito su Alia Multiutility, lo abbiamo chiesto a Gian Luca Galletti, già ministro nei governi Renzi e Gentiloni, ma in questo caso soprattutto ex assessore di Bologna nella giunta di Giorgio Guazzaloca, fra i protagonisti della nascita del Gruppo Hera. Una realtà quotata in Borsa che oggi si occupa di servizi energetici, idrici e ambientali, includendo 311 Comuni fra Emilia-Romagna, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Marche e una piccola porzione di Toscana.

La prima perplessità in Toscana è quella del rapporto fra pubblico e privato. Come avete sciolto il nodo?

"Se il dubbio è sull’aggregazione in sé, bisogna partire dal concetto di efficienza. Una dimensione maggiore incrementa l’efficienza perché comporta un risparmio di costi di gestione. Serve un piano industriale accurato, ma nel nostro caso sapevamo dall’inizio che insieme avremmo risparmiato. Se il tema è la quotazione, parto dalla nostra storia: Hera è nata nel 2003, entrando in Borsa il 23 giugno di quell’ anno. La scelta fu apprezzata e condivisa non solo a Bologna, al tempo a trazione civica, ma anche da diversi sindaci di centrosinistra della Romagna che aderirono. Grazie a quella operazione, il nostro Comune incassò 130 milioni di euro e con 110 scelse di azzerare il proprio debito. Fu una decisione lungimirante, che permise di restituire all’ente una capacità d’investimento maggiore".

Contatto col territorio: non si rischia di perderlo?

"Su questo occorre stare molto attenti. Noi all’inizio creammo delle società territoriali. Hera era sorta di holding con varie Spa locali, ciascuna con presidente e consiglio amministrazione. Poi, quando il rapporto si è consolidato, è stata fatta una fusione e sono sparite le società territoriali. Ma è un passaggio che si può fare o meno: se si ha questo timore si possono lasciare le società territoriali più a lungo".

Acqua pubblica. Nella Toscana centro a breve ci sarà la gara per individuare il socio privato operativo per la gestione del servizio idrico e il tema è politicamente molto divisivo. Come lo avete affrontato?

"Dico che è un falso problema, perché non privatizziamo l’acqua, ma la sua gestione. Peraltro anche il termine privatizzare non è corretto, perché la maggioranza resta dei Comuni. Quando vai in Borsa non porti l’infrastruttura, né le reti o gli impianti, che devono restare pubblici. Nel nostro caso abbiamo Comuni che da 20 anni gestiscono la risorsa idrica con una società quotata che, proprio perché ha parametri aziendali, investe per legge sull’infrastruttura e, in più, distribuisce utili agli enti. Non è solo il caso di Hera, la stessa cosa si può dire di Iren o A2A che stanno sul mercato in modo efficiente e le cui tariffe non sono esplose".

Non potrebbero farlo direttamente i comuni?

"Certo, potrebbero, a patto di saperlo fare bene. Ma ritengo che ognuno debba fare il proprio mestiere: i Comuni non devono gestire i servizi a livello tecnico, ma regolare e controllare. Così succede nel Gruppo Hera, dove tutto avviene in base al contratto di servizio con i Comuni. Più di tante parole è utile l’esempio: basta guardare cosa succede da anni in tante città per capire che il meccanismo funziona".