Vichi
Adesso toccò a me allargare le braccia. "Non posso saperlo, ma se non ti ama più, non è certo perché ti ha riattaccato il telefono per via della pasta…" "Mi sento più tranquilla" disse Isabelle, e si rimise a sedere. "Ti fermi a pranzo? Così puoi vedere com’è un italiano che sta cucinando gli spaghetti e li potrai assaggiare." "No, la pasta non mi piace" disse lei, agitando una mano. "Quando l’hai mangiata?" "Varie volte, ma non mi piace proprio." "E chi te l’ha cucinata? Un italiano?" "No, qui a Parigi. "Ah, ecco… Ti faccio assaggiare una vera pasta italiana, magari cambi idea." "Non credo proprio" disse lei, che ormai si sentiva un po’ sollevata da quello che le avevo detto. "Fammi provare…" "Ok, ça va… Proviamo." "Bene." A quel punto cambiai ricetta: spaghetti burro e parmigiano, che sapevo fare molto bene. E forse potevano anche fare più effetto su Isabelle, visto che i francesi il burro lo mettevano dappertutto. Lei mi venne accanto. "Vediamo cosa fanno gli italiani con la pasta" disse, ormai del tutto alleggerita. "No no, mettiti seduta e guardami da lontano, e non parlarmi fino a che non ho finito." "Addirittura…" "Lasciami concentrare." "Agli ordini" disse Isabelle, e andò a sedersi. Bene, potevo cominciare. Presi una zuppiera ci misi dentro un bel pezzo di burro, poi lo schiacciai con la forchetta per qualche minuto, fino a che non diventò così morbido che a soffiarci sopra veniva un buco, come se fosse panna montata, poi lo spalmai nella zuppiera formando un velo. Isabelle era curiosa. "Questa cosa è…" "Dopo ti dico tutto" la interruppi, alzando una mano. Buttai gli spaghetti e li feci girare un po’ con la forchetta, perché non si attaccassero.
"Non metti olio nell’acqua?" "Oddio, quella storia dell’olio l’hanno inventata i francesi… Adesso lasciami tranquillo un minuto." "Va bene" disse lei. Feci un sospiro, grattugiai un bel po’ di parmigiano in una scodella e lo misi da parte. Appoggiai anche un bicchiere vuoto accanto ai fornelli. Poi apparecchiai la tavola e versai un po’ di vino nei calici. "Sette minuti e scolo la pasta" dissi, proponendo un brindisi. "A cosa brindiamo?" chiese lei. "Alla conversione di una bella ragazza francese alla vera pasta italiana." "Non ci sperare…" disse lei, sorridendo. "Vedremo." "E se tra sei minuti chiama la tua ragazza?" "Le dico che sto per scolare la pasta e lei riattacca." "Voi italiani siete matti."
"Pensa che mio padre, durante la guerra, in prima linea, dopo non so quanti mesi che non vedeva un piatto di pasta, si rifiutò di mangiare delle tagliatelle erano troppo cotte." "C’est pas vrai!" disse Isabelle, scuotendo il capo. Continuammo a chiacchierare per cinque minuti e mezzo, poi cominciai ad assaggiare gli spaghetti. "Ancora un minuto" dissi. Dovevo aspettare che l’anima dello spaghetto avesse solo un piccolo puntino bianco di impasto non cotto… molto al dente, appunto. "Spero che squilli il telefono" disse lei. Dopo sessanta secondi assaggiai di nuovo. "Ci siamo" dissi. Con il bicchiere che aveva preparato presi un po’ di acqua di cottura e la misi da parte. "Che fai?" "Adesso si fa silenzio" dissi. Scolai gli spaghetti, e senza scuotere il colapasta aspettai che l’acqua smettesse di gocciolare, poi rovesciai la pasta nella zuppiera spalmata di burro ammorbidito. Girai gli spaghetti mentre facevo nevicare il parmigiano, e alla fine ci versai sopra un po’ di acqua di cottura. Una breve pioggia di pepe… "Pronti" dissi, e riempii le scodelle. "Da vedere sono simpatici" disse lei, titubante. "Vanno mangiati subito… Prova, se non ti piacciono non ne parliamo più, e mi dichiarerò sconfitto…" "L’odore non è male" disse Isabelle, e prese in mano il coltello. La bloccai guardandola di traverso. "Non ti azzardare a tagliarli. Prendili come vuoi, però assaggiali" dissi. Lei sbuffò, mise giù il coltello e infilzò qualche spaghetto con la forchetta, ma ricaddero giù. Allora ne prese uno con le mani e se lo mise in bocca… La vidi cambiare espressione. Si avventurò di nuovo con la forchetta tra gli spaghetti e riuscì a tirarne su diversi. Continuò a mangiare alzando le sopracciglia, incredula. "Ma cosa ho mangiato finora?" disse, estasiata. "Pasta francese cucinata dai francesi" dissi. Lei mi guardò con gli occhi scintillanti. "Simplement merveilleux…" "Se li lasciavo un minuto di più nell’acqua, io non li avrei mangiati… Adesso capisci il tuo torinese?" "Lo capisco, lo capisco" disse lei, e si ributtò sugli spaghetti.
2-fine