"Ecco, dopo le parole del ministro Santanché, sono tentato un po’ provocatoriamente di dire invece che i turisti vanno demonizzati, almeno per come lo sono ora". Il professor Sergio Givone, filosofo, ex assessore alla cultura di Palazzo Vecchio e vicepresidente del Cda dell’Opera del Duomo, parla di inganno, di truffa ai danni degli stessi turisti.
In che senso professore?
"Intanto si pensa che siano tutti uguali, che vengano da Bologna o da Pechino, dall’operaio spagnolo all’oligarca russo, dagli studenti americani ai croceristi che scendono a Livorno, pensiamo al turista come a un consumatore, di non si sa bene cosa. Ma con l’idea di dar loro tutto, in realtà non diamo loro niente: vieni e in tre giorni mangi la bistecca, vedi gli Uffizi, compri tutto quello che vuoi. Alla fine non sanno neppure dove sono stati e di che esperienza hanno avuto".
Come invertire la marcia?
"Dobbiamo inventare una nuova forma che non chiamerei neanche turismo, ma conoscenza. E questo vuol dire cercare di capire cosa davvero vogliono e preparare queste persone a quello che stanno per fare. Se uno va alle Maldive forse non serve prepararsi al mare. Ma se uno viene a Firenze e non sa niente, se ne tornerà uguale. Anzi, crederà di aver fatto una certa esperienza, ma non sarà vero".
Lei parla dell’ideale, ma nell’immediato, come si fa a difendere la città, col numero chiuso?
"Anche sì. Dove non si può andare non si va; dove non c’è spazio per un pullman, non si mette. Ecco sì, dobbiamo difenderci, per renderla vivibile, non chiusa, ma per renderla aperta a tutti nel modo giusto".
Olga Mugnaini