Firenze, 13 aprile 2022 - "Che si abbia il coraggio di decidere, una volta per tutte: l’aeroporto di Peretola o si sistema o si chiude". E’ stato uno smacco per Vito Riggio, per quindici anni presidente Enac (l’Ente nazionale per l’aviazione civile), non riuscire a vedere completata l’opera. Lui, siciliano, professore universitario di diritto pubblico, entrato in politica con la Dc, ex deputato ed ex sottosegretario alla protezione civile, ne ha visti tantissimi di progetti aeroportuali nati male o peggio, in mezzo a mille conflitti, come Malpensa ("è stato un errore farlo a Varese anziché a Mantova, ma la Lega si impose"). "Ma nessuno è rimasto nel limbo per un tempo interminabile, come il Vespucci".
Cosa serve a Peretola per decollare?
"La cosa è sempre la stessa. Il Vespucci è un aeroporto aperto di corsa da Dini. Con grossi problemi di rumorosità per gli abitanti di Quaracchi e forti limiti per una pista orientata verso Monte Morello e un vento micidiale che spesso ne interrompe la funzionalità".
Quindi?
"L’aeroporto c’è. O si migliora o si chiude. L’eterna battaglia è indisponente".
Ora c’è la nuova idea di pista obliqua: Enac aspetta il progetto.
"Il problema è che se le cose non si fanno nei tempi giusti rischiano di non essere più attuali. Se si continua a procrastinare senza decidere prevarranno gli aeroporti di Bologna, che è in grande crescita e a un tiro di schioppo da Firenze, e naturalmente quello di Pisa, destinato a un grande ampliamento con investimenti significativi".
Con Pisa c’è una storica rivalità.
"Per fortuna ora hanno una gestione unificata, prima si facevano perfino concorrenza. Sono contento di aver concorso all’unificazione. Ma mi beccai un sacco di insulti dai pisani, mi accusarono, lamentandosi con Franco Marini, di privilegiare Firenze. In realtà volevo solamente che il Vespucci funzionasse. Era inutile tenere mezzo aeroporto".
Cosa successe?
"Come spesso accade il papa venuto da fuori sistema le cose. L’unificazione è avvenuta grazie all’investitore di origini armene Eduardo Eurnekian. Che era venuto in Italia con la volontà di intervenire a Palermo o a Catania che, però, vollero restare completamente pubblici".
E come fu convinto a venire in Toscana?
"In quel momento c’era Enrico Letta presidente del consiglio che fece un appello perché si investisse in Italia: Corporación América, che ora controlla più di 50 aeroporti nel mondo, al tempo li gestiva principalmente in Sudamerica. Da grande investitore Eurnekian aveva messo da parte i soldi per intervenire nella privatizzazione degli aeroporti portoghesi, ma venne battuto da un concorrente. Con le disponibilità accantonate aveva scelto la Sicilia, ma dopo il diniego, lo accompagnai da Letta che, per il suo legame con Pisa, lo convinse a investire sul Galilei".
E Firenze?
"Parlai con Vito Gamberale, amministratore delegato del fondo che aveva una quota rilevante dell’aeroporto di Firenze. Così Eurnekian comprò da soci privati sia a Pisa sia a Firenze. Era giusto aprire l’Italia a capitali privati, d’altra parte è privato l’aeroporto di Venezia, così come quello di Roma e lo è quello di Milano al 49%".
Ma fatta l’unione Peretola non ce la fa a decollare.
"Ricomincia la stessa querelle. Serve una pista di 2.400 metri parallela. Servono cautele per rispettare l’ambiente che purtroppo non mi sembra tanto valorizzato. Se si vuole fare un parco, si faccia. Ma bloccare tutto e far restare le cose come stanno è particolarmente scandaloso".
Lei che idea si è fatto?
"Che i Comuni limitrofi considerano Firenze un avversario. Perché non ci sono controindicazioni per Prato, Sesto e la Piana. Facemmo tutti gli studi necessari. A Napoli gli aerei decollano in città. Se è vero che ovunque si litiga per non avere opere impattanti nel proprio giardino, succede il contrario per gli aeroporti: tutti li vogliono perché portano sviluppo e ricchezza. Ma c’è il solito irriducibile vizio della democrazia di non prendere decisioni: si discute e si rinvia. Senza rendersi conto delle conseguenze delle mancate decisioni".
Guerre politiche?
"A un certo punto forse le cose si sono complicate assai per far dispetto a Matteo Renzi, quando era presidente del consiglio. Ma ora è una situazione superata".
La sua esperienza a Firenze?
"Tante. E’ una città che amo da quando venni a fare il militare da allievo ufficiale alla scuola di aeronautica delle Cascine. Da sottosegretario alla protezione civile sono stato orgoglioso di ritirare su la Torre del Pulci e di risistemare via Lambertesca in tempi rapidissimi dopo la ferita della bomba ai Georgofili. Facemmo tutto senza procedure straordinarie, c’era accordo politico e restituimmo anche i soldi perché spendemmo meno dei fondi stanziati. La prossima volta che torno a Firenze mi piacerebbe atterrare al nuovo Vespucci, ma temo che sarò costretto a venire in treno, come facevo quando frequentavo il centro studi Cisl. Atterravo a Pisa e poi prendevo il trenino. Però mando un bacione a Firenze: decidete!".