Firenze, 16 gennaio 2016 - Chi ha premuto due volte il tasto 1 sul display dell’iPhone di Ashley Olsen, intorno alle 9.20 del mattino di venerdì 8 gennaio? Cheik Diaw, il senegalese di 27 anni che era già uscito dall’appartamento e voleva provare a sbloccare lo smartphone, oppure è stata Ashley, nel tentativo disperato di chiedere aiuto perché gravemente ferita?
Gli inquirenti della sezione omicidi della squadra mobile non escludono questa seconda ipotesi. Ma sarebbe la più terribile. Ashley, infatti, sarebbe stata abbandonata nel letto ancora in vita. La fuga del senegalese (con il telefono, per di più) le avrebbe tolto ogni speranza di salvarsi. A conforto di questa ipotesi, una testimonianza di una vicina di casa, altrettanto agghiacciante. Tre le 9 e le 11 di quel mattino, avrebbe udito delle «urla soffocate»: Ashley che lotta prima di arrendersi, oppure rantola, da sola, prima di spirare. Forse questi dubbi potranno essere dissipati dalla relazione completa dell’autopsia. Finora, infatti, la procura ha ricevuto soltanto qualche anticipazione degli accertamenti compiuti sul cadavere della ragazza. Folla ai funerali di Ashley Olsen
Ci sono due fratture alla teca cranica giudicate sufficienti a cagionarne la morte. I due traumi, secondo indiscrezioni, sarebbero riferibili ad altrettanti colpi, sul pavimento o sferrati con un oggetto dalla superficie piatta. Ma Cheik dice soltanto di averla «spinta e colpita con un pugno alla nuca lato sinistro. Lei è caduta a terra e quindi si è rialzata ed ha ricominciato a spintonarmi; io ho reagito di nuovo, le ho dato una spinta, lei è caduta all’indietro sbattendo la testa sul pavimento».
Ashley Olsen, le foto che raccontano la ragazza uccisa
C’è poi lo strangolamento. Nell’imputazione a carico del senegalese, egli avrebbe usato un cavetto o una catenina, ovvero oggetti trovati nell’appartamento. Secondo indiscrezioni, la stretta intorno al collo sarebbe stata tale da causare anch’essa, da sola, il decesso della ragazza. Non ne è per nulla convinto l’avvocato Antonio Voce, difensore di Diaw, che punta, senza nasconderlo, a riqualificare l’accusa a carico del suo assistito in omicidio preterintenzionale. «Non l’ha strangolata, la ragazza ha un segno sottile sul collo». Lo avrebbe provocato Cheik quando, per rialzarla, l’avrebbe presa proprio per il collo: così ha riferito nel lungo interrogatorio dopo il fermo. Tutta questa situazione va letta tenendo conto che sia lui che lei erano in condizioni precarie, dopo una notte di eccessi, con alcol e cocaina consumata - secondo il racconto del senegalese – fino a mattina inoltrata.