Firenze, 22 settembre 2024 – “Oggi ho l’età di 56 anni, ho così trascorso fino a oggi 14 anni e due mesi scomparso dentro un campo di concentramento cubano con delle false infamanti accuse di un assassinio inventato dalle autorità cubane, fatto accaduto in una data dove mi trovavo a Firenze, in Italia, con la mia famiglia natale”.
Nella cella angusta del carcere de La Condesa, dove il caldo toglie il respiro e il cibo scarseggia, Simone Pini, il fiorentino detenuto dal lontano 2010, ha trovato un foglio e una penna. E con le poche forze che gli sono rimaste e ha scritto di suo pugno tre pagine intrise di disperazione, ma anche di speranza. “Eccellentissima on. Presidente”, dice, rivolto alla premier Giorgia Meloni, per gridare la sua innocenza. Pini è stato condannato a 25 anni per la morte di una ragazzina in conseguenza un incontro a luci rosse, ma sin dal suo arresto, avvenuto il 30 giugno del 2010, si è sempre professato estraneo a quelle accuse: il giorno dell’omicidio non era a Cuba. “E adesso quelle prove le ho in mano anche io”, urla nella sua lettera indirizzata all’Italia. Grazie a una riforma della Costituzione cubana, entrata in vigore nel 2022, ogni cittadino ha diritto ad accedere ai propri dati personali. Pini è entrato in possesso dei propri flussi migratori che certificano che, il giorno dell’omicidio, era in Italia e non sull’isola, dove sbarcherà invece 11 giorni. Dati che Pini ha consegnato anche all’Ambasciata italiana.
Una prova che invece, al processo, non è mai riuscito a produrre. E neanche quando, nel 2011, la storia di tre italiani detenuti a Cuba raggiunse la politica: dichiarazioni, interrogazioni in Parlamento, poi il buio. Così la loro storia di Pini, del veneto Luigi Sartorio e dell’emiliano residente a Casalgrande Angelo Malavasi, è tornata nel dimenticatoio, tra le difficoltà dei rapporti diplomatici e l’imbarazzo di difendere chi è sopraffatto da un’accusa disonorevole.
Riavvolgiamo il nastro. Nel maggio 2010 a Bayamo, 220mila abitanti nel sud dell’isola, morì a soli 12 anni Lilian Ramirez Espinosa. La ragazzina soffriva di una grave forma d’asma, nel corso di una festa con adulti italiani e cubani, dove girava anche droga, si sentì male. Ma anziché venir soccorsa, venne caricata in un’auto e abbandonata in un campo, dove venne trovata giorni dopo ormai priva di vita. Dopo qualche settimana, la polizia fece una retata: oltre ad alcuni cubani, finirono dentro i tre italiani. E’ l’inizio di un incubo, che solo per Sartorio oggi si è concluso: estradato anni or sono per gravi problemi di salute, adesso è libero, nella sua città, grazie all’affidamento in prova. Ma anche gli altri due detenuti, che ormai hanno passato ben oltre della metà della loro pena nel duro penitenziario cubano, avrebbero diritto, secondo la legge di Cuba, a scontarla in Italia. Pure Pini, che dei tre ha avuto la condanna più dura e infamante: quella per omicidio.
L’appello. “Siamo stati vittime sacrificali di un complotto per favorire un atto di propaganda di questo regime di veri criminali - scrive Pini alla Premier -. Arbitrariamente e senza un minimo rispetto di regole del diritto internazionale subimmo pure la tortura, segregati in uno di questi centri, io trascorsi oltre 4 mesi incomunicato con il fine di obbligarmi, di farmi autoaccusare dentro un luogo disumano, nell’indagine fabbricata dalle autorità cubane. Loro cercavano solo dei colpevoli a caso e basta!”
“Avevamo e abbiamo decine di prove che facilmente dimostrano a nostro favore che tutte le accuse sono fasulle, inventate in malo modo”, prosegue. “Di prove ne chiedevamo una su tutte, quelle sulle documentazioni sui nostri flussi migratori sia in entrata che in uscita. Cosa che le autorità cubane si sono sempre rifiutate di dare per circa 14 anni, ci sono sempre state negate sia a noi che alle autorità italiane presenti a Cuba”.
Ora, la documentazione acquisita da Pini, dimostrerebbe che “quel 14 di maggio 2010 io mi trovavo in Italia. A Cuba invece mi recai ben 11 giorni dopo che quella ragazza perse la vita, per motivi familiari perché avevo una sposa e un figlio che è cittadino italiano che oggi ha 20 anni. Attualmente quei dati così importanti sono pure in Italia. Io, Malavasi e Sartorio abbiamo pagato 14 anni e più di duro carcere per niente. Ovviamente né io né il Malavasi vogliamo fare una revisione di causa a Cuba, perché non crediamo nella giustizia di questo paese ed i fatti ce lo dimostrano”. Il fiorentino chiede l’intervento della Meloni per far rientro in Italia. “A Cuba esiste una legge per detenuti stranieri non residenti che prevede la loro libertà condizionale e la loro espulsione dal territorio cubano al compimento della metà della loro pena quando il reo ha i requisiti del buon comportamento. Detto beneficio ci è stato negato più volte senza un solo motivo plausibile”.