Firenze, 12 gennaio 2025 – Lo hanno sentito urlare e chiedere aiuto: “Non sono io, non ho fatto niente, non c’entro nulla, lasciatemi stare”. Ma alla crudeltà, contestata anche nelle imputazioni, si è aggiunta pure l’indifferenza, come quella di chi era sul bus numero 30 dove Maati Moubakir aveva cercato di rifugiarsi dopo essere scampato a una prima aggressione di una decina di persone con bastoni, caschi e lame: la giovane vittima è stata infatti colpita per l’ultima volta, frontalmente, all’altezza del cuore, proprio a bordo del mezzo.
Emergono nuovi e sempre più agghiaccianti dettagli dall’alba di sangue di Campi Bisenzio, dove lo scorso 29 dicembre il 17enne di Certaldo è morto per almeno cinque feroci coltellate inflitte perfino alla testa con due diverse armi taglienti, un coltello e forse una roncola.
E la procura ha depositato i primi atti della propria indagine culminata, nel pomeriggio di venerdì, negli arresti disposti dal gip Angela Fantechi dei tre presunti autori (Francesco Pratesi, 18 anni, Denis Mehmeti, 20 e Ismail Arouizi, 22, tutti residenti a Campi Bisenzio) dell’aggressione costata la vita del giovane arrivato dalla Val d’Elsa per trascorrere una serata alla discoteca Glass Globe.
Rissa o aggressione? I carabinieri della compagnia di Signa e del nucleo investigativo di Borgo Ognissanti hanno ricostruito le molteplici fasi dell’azione criminosa grazie ad alcune telecamere: quelle di un negozio, del supermercato e di una banca, oltre a quella del mezzo pubblico dove si è consumato il drammatico epilogo. Ognuno di questi punti di osservazione ha consegnato immagini della sequenza culminata nell’omicidio. E in alcuni casi hanno registrato anche gli audio. Le grida disperate di Maati, che quasi implora di essere lasciato in pace perché non era lui la persona “ricercata“ sono state udite anche da alcuni testimoni, ragazzi che erano nel centro di Campi o nei pressi della fermata di via Tintori dove si è consumato l’epilogo, con il 17enne agganciato, colpito e tirato giù dal bus.
Intorno alle cinque e mezzo si è infatti acceso un diverbio nel giardino, piuttosto buio, della scuola Matteucci. Maati è nel mirino: “E’ lui, è lui”. Lui prova a dire ai “fra” che non c’entra nulla. Ma inizia il violento pestaggio. Non è chiaro quale sia stata la miccia - si parla di un apprezzamento a una ragazza -, ma è scattato un tam tam che ha richiamato in quei luoghi anche chi, come i tre arrestati, aveva passato la serata in un altro locale di Firenze.
Le “confessioni“. Pratesi, che sabato scorso si è presentato spontaneamente ai carabinieri “pentito”, non è stato il primo a costituirsi. Anzi, ad aggravare la posizione del giovane, difeso dagli avvocati Francesco Ceccherini e Francesco Tesi, ci sono proprio queste dichiarazioni di un presunto compartecipante, suo amico. Nella giornata del 31 dicembre, accompagnato dal suo legale, Sabrina Serroni, Arouizi ha infatti consegnato ai carabinieri un racconto confuso dei fatti di via Tintori, a cui avrebbe partecipato, versione ritenuta plausibile rispetto a quanto raccolto, almeno sino a quel momento, dagli investigatori coordinati dal pm Antonio Natale.
“L’ho ammazzato”. Negli attimi concitati dopo l’aggressione a Maati, Pratesi e Mehmeti si sarebbero allontanati da via dei Tintori a bordo dell’auto di Arouizi. Qui, il 18enne del gruppo si sarebbe reso conto di ciò che era successo e tenendosi la testa fra le mani avrebbe ripetuto più volte: “L’ho ammazzato”. “Non ci sei solo tu in questa storia”, la risposta di un amico.
E le armi? Sarebbe stato un quarto indagato (non attinto da misura), D.V., 18 anni, residente nei pressi della zona teatro del delitto, ad andare a prendere a casa alcuni coltelli per regolare la futile e non chiara questione nata ai giardini della Matteucci. Ma sulla scena sono presenti anche dei bastoni e un casco, che potrebbe essere spuntato proprio dal bagagliaio dell’auto dell’arrestato. E c’è anche il “bilama”, che, come emerge dall’autopsia, sarebbe stato usato per i colpi mortali. Maati aveva delle escoriazioni, provocate probabilmente dalle cadute e dalle botte prese, e nessun taglio da difesa.
Nelle perquisizioni effettuate in questi giorni, le armi del delitto non sono state rinvenute. Sono stati trovati alcuni indumenti, compatibili con quanto ripreso dalle immagini. Il giubbotto nero con cappuccio indossato da Pratesi era stato lavato. Forse perché sporco di sangue.