di Olga Mugnaini
E’ uno dei più antichi e prestigiosi centri per il restauro e la conservazione di opere d’arte al mondo e un’eccellenza tutta italiana. Alla guida dell’Opificio delle Pietre Dure, che è anche museo e scuola di alta formazione, è stata confermata la soprintendente Emanuela Daffra, che continua ad interim a guidare anche la Direzione Regionale Musei Lombardia, proseguendo i tanti progetti iniziati a Firenze, dopo aver preso il posto dell’ex soprintendente Marco Ciatti.
Soprintendente Daffra, contenta di questa conferma?
"Come potrei dire di no. La città non ha bisogno di commenti e l’istituto è straordinario. E così da una parte c’è la grande fatica perchè gestire due uffici è pesante, ma dall’altra è davvero bello".
Pesante anche per la carenza di personale?
"Qualunque collega del ministero della cultura direbbe che rispetto alla quantità dei compiti da svolgere avremmo bisogno di storici dell’arte, chimici, biologi e di tante altre figure professionali. Però, grazie all’eroismo dei colleghi, si riesce a fare moltissimo".
Non c’è il rischio di perdere professionalità preziose?
"Per fortuna sul fronte del restauro negli ultimi anni c’è stata un’iniezione significativa di personale. Bisognerebbe però avere una sorta di tutoraggio delle grandi professionalità che hanno ottenuto risultati straordinari nei confronti dei colleghi giovani che arrivano in un luogo come questo".
Oltre al laboratorio di restauro avete anche un bellissimo museo.
"Sì, stiamo cercando di renderlo sempre più attraente e di farlo conoscere come luogo in cui si racconta un’arte strepitosa che è quella del commesso delle pietre dure, ma anche come vetrina dell’Opificio moderno, nonostante affondi le radici nella manifattura di corte specializzata in arredi e oggetti artistici in pietre dure, fondata nel 1588 da Ferdinando I de’ Medici".
Come è cambiato da allora?
"Col decadere della committenza granducale e l’Unità d’Italia, a fine ‘800 ha progressivamente diretto la propria azione al restauro di mosaici e materiali lapidei, allargando le competenze al restauro di numerose tipologie di opere d’arte a seguito della fusione col Gabinetto Restauri della Soprintendenza. Concretizzatasi nel 1975, l’unione fu una conseguenza positiva della stretta collaborazione avviata con l’alluvione del 1966".
Cosa vede chi viene a visitare il museo?
"Abbiamo iniziato a esporre anche alcune delle opere restaurate per ricostruire il legame fra tradizione e la vita e e la fama attuale dell’istituto. Abbiamo un po’ di carenza di locali, ma ci stiamo organizzando con accordi con altre istituzioni importanti quali l’Istituto degli Innocenti e la Galleria dell’Accademia. Pensiamo ad esempio a biglietti condivisi e altre iniziative che avevo messo in cantiere l’anno scorso e che spero di portare a termine".
Ad esempio?
"Un’importante collaborazione con la National Gallery di Londra e il Metropolitan di New York, dove l’anno prossimo ci sarà una grande mosta in due sedi dedicata a Duccio di Buoninsegna. E noi lavoreremo sulla Maestà del Duomo di Siena, un’opera capitale nello studio dell’artista".
E l’Opificio che farà?
"La Maestà è un grande polittico dipinto su due lati, che non si potrà muovere, ma sul quale presenteremo uno studio sia dal punto di vista della conservazione sia della tecnica esecutiva, analizzando gli indizi dei materiali usati. Ciò grazie alle conoscenze complessive dell’Opificio, attraverso il lavoro decennale di colleghi che hanno dato il meglio di sé".
Qualche capolavoro attualmente in restauro?
"La lista è lunghissima: il Fonte battesimale del Duomo di Siena, con sculture e formelle in bronzo di Donatello, Ghiberti, Giovanni di Turino, Goro di Neroccio e Jacopo della Quercia; le porte bronzee di Donatello dalla basilica di San Lorenzo a Firenze; il celebre monumento a Margherita di Brabante di Giovanni Pisano dal Museo di Sant’Agostino a Genova..."