EMANUELE BALDI
Cronaca

Padre Bernardo: ora parliamoci: "Firenze è pietra senza musica. L’Arno sia simbolo di dolcezza"

Il monito dell’Abate: "La città è satura, i suoi frammenti comunichino". L’esempio di Mario Luzi. Ai giovani: "Guardate Sinner che regge l’ombrello al raccattapalle. L’umanità resiste nel profitto".

L’invito è a tornare a parlarsi e comunicare

L’invito è a tornare a parlarsi e comunicare

Levigare. E cioè smussare, relativizzare per poi ricomporre. L’Abate Padre Bernardo Gianni, dall’alto pulpito fisico di San Miniato, invita la città ad addolcirsi. Prima di perdersi del tutto.

Padre, che Natale è questo? "È una domanda semplice e profonda. Per questo difficilissima".

Proviamo. "Le dico che c’è una tremula luce di speranza. Penso al Medio Oriente dove si intravede un minimo di ricomposizione. E però penso anche ai fatti dell’Europa orientale e allora sono costretto a dire che le speranze, ancora, sono davvero tenui. Ma abbiamo un obbligo".

Quale? "Quello di accorgerci di ogni barlume di luce".

E Firenze come sta? "Le due tragedie di quest’anno, quella del cantiere di via Mariti e l’altra al deposito di Calenzano, mettono fortemente in discussione la qualità della nostra vita. Che mi creda non è quella delle classifiche, seppur ben fatte".

E qual è invece? "Quella che dovrebbe guardare alla sicurezza sul lavoro che è fondamentale. La qualità della vita sta nell’integrazione sociale che ancora deve compiersi. Il Natale è il momento in cui Dio accorcia le distanze tra lui e noi e allora mi chiedo: che senso ha farsi gli auguri se ancora non si è pronti ad essere più pazienti, cordiali con gli altri?"

Firenze è la capitale del volontariato. Qui l’attenzione verso il prossimo c’è sempre stata. Eppure sembra prendere corpo un segno di abbandono. Ha notato? In pochi ormai si parlano anche nei luoghi della quotidianità. Che sia dentro un bar o su un autobus.

"Purtroppo questo è frutto di un processo globale, antropologico. L’icona dell’uomo eretto, in cammino verso la speranza è stata sostituita dall’uomo chino sullo smartphone. Certo che in una realtà come Firenze questo assume contorni ancora più inquietanti perché parliamo di una città che con le società di mutuo soccorso, le Misericordie, le case del popolo e le parrocchie ha sempre avuto un tessuto vitale che La Pira descriveva come ’organico’".

C’è speranza? "Sì. Il ritorno della dialettica. E il ruolo simbolico del nostro fiume, l’Arno".

Ci spieghi meglio. "Il fiume scorre come purificazione. Facciamo tesoro di questo messaggio. L’auspicio è che il fluido prevalga sulla durezza di una città che è a rischio di pietrificazione come la nostra coscienza. Vede, l’acqua può fare del male come ha fatto lo scorso anno, ma può anche essere simbolo di rinascita".

Si riferisce all’alluvione di Campi Bisenzio? "Esattamente. L’acqua è diluvio ma anche argine per la nostra società. Non dimentico le migliaia di ragazzi che furono disponibili ad ’accorgersi’ del dramma, soffermiamoci sulla parola ’accorgersi’, e corsero a spalare. Cosa significa questo? Che c’è ancora una dialettica nella nostra città pronta a risvegliarsi".

Il risveglio che auspica per Firenze? "Sì. Perché è satura di un uso e di un consumo che ora ci chiede una reazione: torniamo a far parlare il dettaglio, il frammento. C’è ancora la bellezza a qui. Ma manca la musica. Mi lasci usare dei versi straordinari di Mario Luzi a tal proposito".

Prego. "Appartiene alla raccolta ’Frasi e incisi di un canto salutare’: Non fu pari all’attesa, si sfece in brevi tessere di una invetriata cerimonia il tanto vagheggiato incontro. Parole non mancavano, mancava se mai la loro musica. E Firenze non ne aveva di sua, non ne emanava dalle segrete camere, neppure ne perdeva da occulte fenditure o da mal chiuse porte come un tempo - quale? - non ricordavo. Ci appariva insolita Firenze. Stava muta, impiccata allo strapiombo delle sue nere muraglie, rigata dalle lacrime di luce delle sue alte lampade. Era insolita nel volto o noi troppo mutati suoi nottambuli attraversati da lei, passati oltre".

Sarà musica la parola chiave della sua omelia di Natale? "Beh, in genere sono immediato. Vado a braccio. Penso più alla parola cantiere, come quello che c’è a San Miniato. Il Natale è un’officina che ci dà le ali che non credevamo di avere, il nostro cantiere, dalla piccola altura della basilica, quasi un hangar sula città per riscoprire il cielo come una piazza di luce".

Il vescovo Gambelli dirà messa alle Piagge. "Un’azione in piena linea con il magistero del Papa come lo è la sua attenzione per il carcere d’altronde. Il suo è un gesto di importante rammendo tra la città e le periferie che però non disattende il cuore della nostra chiesa dove sarà il giorno prima".

Padre Pagano da Santo Spirito chiede di spegnere gli smartphone per ritrovarsi. "È un’intuizione feconda. Diamoci spazi e tempo per ritrovare l’armonia di fronte a una vita funzionale solo al profitto che non è il fine ultimo. Quello è l’amore".

Ultima cosa: c’è una figura nella società civile che sta lanciando un messaggio silenzioso da cogliere? "Le direi Sinner, che tende ad apparire ma anche a nascondersi. Un modello di determinazione e semplicità insieme. Se un ragazzo giunto a quei livelli tiene l’ombrello a un raccattapalle ci insegna che anche nel mondo del profitto l’umanità vince sempre. Buon Natale a tutti".