Alessandro Pistolesi
Cronaca

Il centro d’accoglienza contestato: i migranti ora superano i residenti. In paese fra tensioni e proteste

Siamo andati a San Pellegrino: 58 abitanti e 82 stranieri ospitati dentro il Cas aperto tre anni fa. La struttura prima era un albergo. L’assessore: “Nessuno ci informa mai dei nuovi arrivi”

Firenzuola, 4 marzo 2025 – Un sole pungente che niente ha da spartire con l’inverno squarcia la statale Imolese, si arrampica fino a San Pellegrino e qui illumina senza indugi tutte le inquietudini di una comunità di appena 58 anime. Il centro di accoglienza straordinaria è il primo edificio a materializzarsi per chi arriva da Firenzuola, subito dopo un paio di curve innocue e generose. Non più tardi di tre anni fa l’edificio era un albergo, punto di riferimento per turisti e viaggiatori di confine. Adesso è la casa che ospita 82 migranti, una struttura capace di scombussolare l’esistenza di una piccola comunità già provata da spopolamento, servizi a singhiozzo, carenza di medici.

“All’inizio gli ospiti erano solo una ventina”, è il refrain più comune tra gli abitanti nel ripercorrere la storia del Cas tra l’alternarsi di gestori, i disagi e perfino un commissariamento, mentre il numero dei migranti intanto continuava a salire. Fino a che, poco tempo fa, a San Pellegrino i migranti hanno superato i residenti. “Dall’ultimo incontro che abbiamo avuto il 17 febbraio con la nuova gestione insieme alla Misericordia di Firenzuola e ai carabinieri, è emerso che nella struttura ci sono 82 ospiti. La comunità locale invece è fatta di poche famiglie, molte se ne sono andate. Ne saranno rimaste circa una sessantina”, non serve il pallottoliere ad Angelo Di Meo, consigliere delegato a sanità e servizi sociali: i conti sono presto fatti. A San Pellegrino il rapporto è sbilanciato al contrario: per ogni residente ci sono quasi due migranti. Secondo i dati in possesso della Prefettura gli ospiti si sarebbero poi ridotti di poche unità, a 75, e la convenzione per la gestione, inizialmente pro tempore, è in corso di rinnovo.

Ma più dei numeri sono i tentativi di integrazione andati a vuoto a preoccupare Andrea Brunetti, assessore ai lavori pubblici, ma soprattutto residente di San Pellegrino, proprio a due passi dal centro di accoglienza: “I contrasti tra ospiti e residenti sono ormai continui, capisco la rabbia dei cittadini ma come Comune purtroppo abbiamo le mani legate. Non veniamo nemmeno informati quando sono previsti nuovi arrivi”. Un atto di indirizzo concreto da parte della politica è arrivato nel corso dell’ultimo consiglio comunale, dove la maggioranza di centrodestra ha votato compatta insieme alle opposizioni per ridurre il numero degli ospiti e poi procedere a una progressiva chiusura del centro.

Dalla lotta per il posto a sedere sulla corriera – tra chi paga oltre 500 euro l’anno di abbonamento e chi sale senza biglietto – fino alla paura di frequentare gli spazi verdi, ormai occupati dai migranti. E invece dell’aria buona di campagna, quella da respirare a pieni polmoni, si avverte un clima teso di disagio e timori: “All’inizio il centro avrebbe dovuto ospitare profughi ucraini – racconta ancora Di Meo, consigliere delegato al sociale –. Ma in realtà sono arrivati ospiti di diverse nazionalità: pakistani, tunisini, marocchini, ragazzi del Bangladesh e la convivenza all’interno dello stesso centro è diventata molto delicata. Si verificano liti e risse, i carabinieri intervengono di continuo”.

Non un rigetto. Semmai un ecosistema messo sotto sopra da una situazione ingestibile a queste latitudini, nonostante lo sforzo di tendere la mano verso l’altro: “Il Comune ha messo a disposizione la biblioteca per far studiare ai migranti l’italiano – sottolinea con una punta d’orgoglio Di Meo –. Sette o otto di loro lavorano: chi come fornaio, chi come muratore, chi fa il fabbro o il meccanico. Sono stati anche impiegati per raccogliere l’uva o i marroni. Ci siamo impegnati per fare in modo che chi aveva un lavoro potesse ottenere la residenza. Però qui il turnover è continuo: quando hanno la possibilità, se ne vanno. E ne arrivano altri. La verità è che il territorio non è strutturato per ospitare così tante persone, qui sono rimasti pochissimi servizi. Non è il luogo adatto per ospitare e fare integrazione”.