Pagani e i viottoli che ritornano: "Io e Faber complici deflagranti"

La pietra miliare “Crêuza de Mä“ compie 40 anni: domani sera al Teatro Romano di Fiesole il tributo a De Andrè

Pagani e i viottoli che ritornano: "Io e Faber complici deflagranti"

Pagani e i viottoli che ritornano: "Io e Faber complici deflagranti"

di Giovanni Ballerini

A quarant’anni dalla pubblicazione di Crêuza de Mä, scritto a quattro mani con Fabrizio De Andrè, Mauro Pagani ha deciso di riproporre dal vivo all’Estate Fiesolana l’album che ha segnato la storia della musica italiana contemporanea con la sua illuminata fusione di stili, tra folk, world music e rock. Lo farà domani sera alle 21.15 sotto le stelle, al Teatro Romano di Fiesole, con sei musicisti, una corista, un corista e tanto entusiasmo. Pagani, per lei è stato più importante, “Storia di un minuto“ della PFM o "Crêuza de Mã"?

"Per una questione di maturità direi Crêuza de Mä, quella di Storia di un minuto era una bellissima avventura, stavamo iniziando con la PFM, stava nascendo il rock progressive in Italia. Era un momento storico meraviglioso e io facevo parte di una band di musicisti bravissimi, però ero ancora molto acerbo, dovevamo crescere. Crêuza de Mä è invece il disco della maturità, figlio di anni in cui avevo fatto tante ricerche sulla musica del mondo e della collaborazione con De André. C’era quindi un livello di consapevolezza diverso. Nel primo disco con la Premiata Forneria Marconi, c’era tanto istinto animalesco e la gioventù che non torna più: è stato una storia collettiva e io ero un artista in evoluzione".

Come mai a Fiesole non suona con un’orchestra?

"Crêuza de Mä in realtà non è un disco da orchestra, Le nuvole, di cui faremo qualche brano, un po’ di più. Ma, ho deciso di suonare con un ensemble simile a quelle che furono le formazioni di Faber, con 5 o 6 elementi".

Lei si sente un po’ il Peter Gabriel italiano?

"Crêuza de Mä è stato registrato nell’83 ed è uscito nell’84, Peter Gabriel ha fondato la Real World nell’88, quindi dopo qualche anno. La cosa mi riempie di orgoglio, ma lo fa anche il paragone con Peter Gabriel, che è stato uno dei miei miti".

Come è nato il sodalizio con Faber?

"Il caso è stato benevolo e ha voluto che fossi in sala di registrazione per la mia prima colonna sonora, quella del Sogno di una notte d’estate di Gabriele Salvatores. Fabrizio era nello studio accanto: stava registrando L’Indiano. Si dormiva e si mangiava lì. Siamo diventati amici e mi ha voluto con sé in tournée. Lui veniva da due dischi con la PFM che gli avevano riempito gli arrangiamenti di mandole, mandolini, violini, di tutto e di più. E, Fabrizio, da bravo genovese, si è reso conto che da solo facevo il lavoro di tre e che quindi un polistrumentista come me gli avrebbe fatto risparmiare un sacco di soldi. La complicità che si è creata in tour ci ha poi consentito di sperimentare una canzone d’autore nuova in cui le musiche del mondo esaltavano la musicalità del dialetto genovese. E tutto ha preso il suo posto".

Un colpo di fortuna per entrambi?

"È stato fondamentale essersi incontrati al momento giusto. lo avevo fatto abbastanza esperienza con la world music, la conoscevo bene e sapevo scrivere con naturalezza certe melodie e Fabrizio era pronto a cambiare. Il risultato è stato deflagrante. Un disco in un genovese mezzo antico, che non parlano più neanche a Genova, ha fatto scoccare per entrambi una seconda stagione creativa".