EMANUELE BALDI
Cronaca

Palazzuolo: birre, fumo e lame. Come stare seduti su un vulcano: "La violenza? Qui è improvvisa"

Alcol a tutte le ore e strani traffici. Il nostro viaggio nella strada più difficile della città "A volte per giorni non succede nulla, poi basta una scintilla e spuntano bottiglie e coltelli".

Alcol a tutte le ore e strani traffici. Il nostro viaggio nella strada più difficile della città "A volte per giorni non succede nulla, poi basta una scintilla e spuntano bottiglie e coltelli".

Alcol a tutte le ore e strani traffici. Il nostro viaggio nella strada più difficile della città "A volte per giorni non succede nulla, poi basta una scintilla e spuntano bottiglie e coltelli".

I trolley degli americani ruzzolano schizofrenici e spaccano l’aria molle del ventre bollente di via Palazzuolo che di giorno, alla fine, è una strada come un’altra di questo centro storico che ormai è una macedonia impazzita di lavanderie automatiche, profumi forti di kebab farciti di cipolla, affittacamere con i soffitti scuri che sbucano dalle persiane aperte, albergoni chic con fontanelle e giochi d’acqua, eroici antiquari che resistono e centri estetici.

"Ma guarda che anche di notte qui mica succede nulla..." dice un ragazzetto straniero davanti al bar all’angolo con via Maso Finiguerra con lo sguardo più navigato di quanto il viso imberbe ci vorrebbe far credere. Lo dice ma non è mica tanto convinto. "Cioè, è una cosa un po’ strana – s’infila nella chiacchierata volante un secondo che alle tre del pomeriggio ha già una pinta gelata in mano – Magari per una settimana di fila esci la sera, stai con gli amici e sei in paradiso. Poi all’improvviso scoppia una rissa chissà per cosa, volano bottigliate e ti trovi nel mezzo". Come un vulcano, viene da pensare. Calma apparente, violenza che brulica fuoco sotto. Lo sanno che a venti metri da qui l’altra notte un uomo di più di novant’anni è stato spedito a un passo dal Creatore per le scale di casa? "No, io non so nulla – fa il ragazzetto – Però ne succedono tante, io preferisco farmi i fatti miei...".

La cronaca dei fattacci di via Palazzuolo affonda le radici negli anni. Botte, coltelli, droga più o meno pesante, voci forti da un marciapiede all’altro.

È una strada di frontiera. Senza pace. Un po’ come la dirimpettaia via della Scala che però brandelli di movida e struscio costante di turisti da e per la stazione centrale hanno sempre tenuto a galla nel mare della percezione di una relativa tranquillità.

In via Palazzuolo è un’altra cosa. Via Palazzuolo è più nascosta, più stretta, più buia. Quasi un angiporto, a tratti delizioso con i tanti piccoli tabernacoli, nicchie di fede che qui sembra smarrita, che spuntano dai vecchi e piccoli palazzi popolari con le scale strette. Sembra una periferia scollata dal centro, quasi una strada maledetta che ricorda la Genova difficile di via del Campo cantata da De André. Ma se i versi di Faber raccontavano di un’umanità, sì tosta e ruvida, ma insieme calda e solidale qui ognuno sembra andare per la sua strada e badare ai fatti suoi.

Eppure siamo a due giri di cantonate dai palazzi eleganti di via Montebello e via Garibaldi, dalla solennità del Prato, dai lungarni morbidi e puliti del consolato americano. "Non dovete pensare però che i problemi nascano e muoiono qui. – dice Marco che ha un’agenzia immobiliare in Borgognissanti – Questo è una specie di centro di ’smistamento’, non so se mi spiego...". Abbastanza. "La droga gira intorno e è dappertutto, alla stazione, alle Cascine, alla Leopolda, a Porta al Prato Solo che qui i traffici si fanno meglio... E poi qui bevono tanto, bevono tanto. Per questo a ogni scintilla son cazzotti". Ha ragione Marco. A metà pomeriggio i bicchieri sono già sui tavoli. Sorso, sigaretta, sorso, sigaretta. In attesa che venga giù il buio per vedere che succede.

Davanti a casa di Ezio, che lotta ancora per restare aggrappato a quella vita che la balordaggine di un’altra notte folle ha provato a strappargli, c’è il volto cupo del Fulgor, il paradigma di tutto quello che poteva essere e non è stato.

Un cinema da Belle Époque, che un rione così avrebbe potuto perfino ambire ad avere perché sulla carta bello e vivace, ma spente le luci di un cinema che in qualche modo restava un faro, sono anche andati via via giù anche tutti gli interruttori dei locali di una movida briosa che fino a un pugno di anni fa a Porta al Prato scacciava la malavita. Dietro la saracinesca del vecchio cinema, beffarda, resta la locandina dell’ultimo film proiettato in sala, ’La pazza gioia’ di Carlo Virzì.