"Mi permetto di scriverle con il cuore colmo di delusione e amarezza in merito alla decisione di non concedere la sala consiliare per la presentazione del libro ‘Le vite delle donne contano’ di Francesca Totolo": inizia così la lettera indirizzata al sindaco Tagliaferri, ma anche a tutto il consiglio comunale, da Alessandra Verni, la mamma di Pamela Mastropietro, la ragazza di 18 anni uccisa nel 2018 a Macerata da Innocent Oseghale, che poi fece a pezzi il suo cadavere.
Una lettera anticipata da una chiacchierata al telefono con Alessandra: la voce ferma, le parole quasi centellinate, non prive di emozione. L’emozione di una mamma che ha perso la propria figlia in modo atroce e che pone e si pone delle domande che sono autentici pugni nello stomaco: "Se quello che ha subito Pamela fosse successo a un loro familiare, cosa avrebbero detto?".
Alessandra avrebbe dovuto intervenire ‘in remoto’ alla presentazione del libro in seguito a un delicato intervento chirurgico: "Sto in piedi e più determinata di prima, questa non è democrazia, ma una forma sottile di razzismo che continua a negare i diritti di chi ha già sofferto", ci risponde così quando le chiediamo come sta.
Non nasconde la sua amarezza, anzi. E rimanda al mittente tutte le accuse, per la presunta appartenenza politica, rivolte all’autrice del volume, che l’aveva invitata a partecipare al dibattito. "In occasioni del genere – dice – bisognerebbe mettere da parte il proprio pensiero politico. Non ci sono vittime di serie A e di serie B, dovrebbe invece esserci un obiettivo comune, quello di combattere la violenza. Ciò che è successo a Campi è stata una grave mancanza non solo nei miei confronti, ma anche di tutti coloro che sono stati costretti a vivere un dramma simile".
Lo ribadisce nella sua lettera: "Quando si parla di violenza, è fondamentale riconoscere che ogni vita spezzata, ogni sofferenza inflitta, merita la nostra attenzione e il nostro rispetto. La Costituzione ci insegna a difendere i diritti di tutti e questo include il diritto delle vittime di essere ascoltate, di avere uno spazio per raccontare le loro storie senza timori". Per poi focalizzarsi su quanto successo a Pamela e "un dolore che dobbiamo portare dentro di noi per tutta la vita, con il risultato che spesso ci sentiamo abbandonati, proprio come è successo a Campi". Un dolore con cui ‘convive’ "da sei anni e dieci mesi", è come se avesse contato insieme a noi, giorno per giorno, il tempo che è passato dall’omicidio di Pamela.
Per poi rivolgere un appello al sindaco e al consiglio comunale: "Vi invito a riflettere su quanto sia fondamentale riunire le persone intorno a storie di resilienza e verità. La presentazione di questo libro era ed è un’occasione per farlo, per riconoscere il dolore e trovare insieme un cammino verso la giustizia e la comprensione.
La decisione di non permetterla, motivata dalla paura per la sicurezza e da ipotetiche idee antifasciste, lascia un senso di impotenza e di silenzio su questioni che meritano di essere affrontate con coraggio. La mia battaglia non è contro un’etnia, ma per la giustizia e il riconoscimento dei diritti delle vittime, affinché non venga mai più detto che le loro storie non meritano di essere raccontate. E come madre di Pamela posso testimoniare quanto il silenzio e l’indifferenza riaprano quella ferita". Infine un ‘grido’ di speranza: "Cosa mi fa sperare in un mondo migliore? L’amore. Ma il cambiamento deve partire da ognuno di noi".