Firenze, 11 dicembre 2020 - Siamo catalogati adesso come boomers. Figli del boom. Quando si sognava in grande, l’Italia produceva e consumava e fare figli era normale. Nel 1982, a 17 anni, la sociologia ancora non ci aveva inquadrato, non eravamo nessuna generazione z, t, y. C’era la paghetta in lire e le cabine telefoniche, c’eravamo divertiti a collezionare mini assegni e volevamo guidare per sentirci grandi. Le fazioni erano tra chi amava il Cagiva e chi il Px della Piaggio, stili di vita. C’erano le compagnie, una per piazza e giardini, o quasi.
Quel luglio faceva caldo, come al solito a Firenze, ma chi se ne importava del meteo: c’era l’Italia mundial da seguire per vedere prima di tutto se nel blocco Bearzot il nostro ’Antonio’ trovava spazio adeguato alla grandezza dell’Unico 10 viola. E invece era sempre messo in discussione: non tanto da noi tifosi che lo amavamo sempre e comunque, ma dalla stampa, "quella del nord", come si sentiva dire da ragazzini, che parteggiava sempre per qualcun altro che non fosse Antognoni. Per la prima volta avevamo capito anche che il calcio non era vergine, che gli affari sporchi si facevano anche nel rettangolo verde, tempio inviolabile. Erano i tempi del calcio scommesse. Il ct, commissario tecnico, non mister, Enzo Bearzot si era innamorato di Paolo Rossi anche se in quella stagione aveva giocato poco. Italia missione Spagna. Polonia, Perù, Camerun: girone facile. Difficile in campo. Che sofferenza. Si segna col contagocce, si passa il turno per un soffio. L’attacco non va. Critiche e silenzio stampa. Nessuno parlava, meglio stare ad allenarsi e giocare a carte in tuta. Già le tute, che belle erano quelle della Nazionale firmate le Coq sportif. Averne una sarebbe stato un mezzo miracolo per noi ragazzi, da oracolare insieme alle Adidas rom e ai Levi’s 501.
Argentina di Maradona battuta e si va avanti, lo stellone italico inizia a manifestarsi poi il Brasile. E’ lì che Paolo Rossi inizia a diventare Pablito: tre gol con un’intesa di classe con il nostro ’Antonio’. Incrociamo le dita e andiamo avanti. Ci crediamo. Le partite diventanto bolge, tifiamo tutti azzurro, gridiamo tutti forza Italia, facciamo cucire alle mamme i tricolori. La semifinale una formalità, con una doppietta di Pablito, ammaccata dal dolore per l’infortunio di Antognoni pestato da un polacco. Si arriva alla finale. E’ storia. L’attesa, la partita col cuore in gola, l’urlo di Tardelli, la vittoria. E poi tutti fuori per una notte infinita, la prima volta senza orari. Via sui viali con le bandiere al vento dei Ciao e delle Vespe, poi in centro. Tutti abbracciati. Un camion ci caricò e ci portò al Piazzale Michelangelo a ballare e cantare. Poi sotto Palazzo Vecchio e poi all’edicola della stazione ad aspettare "La Nazione". Notte indimenticabile. Grazie azzurri del Mundial. Perché quella notte ci avete regalato il sapore della gioia della giovinezza e la consapevolezza che per diventare grandi si poteva aspettare ancora un gol di Pablito con passaggio di ’Antonio’.