REDAZIONE FIRENZE

Pelago e il 1945 Quel paese specchio d’Italia

Fascisti, partigiani e i cambi di casacca "Ma qui la generosità e viva ancora oggi"

Giovanni

Morandi

“Era stanca di essere la ragazza di Bube, stanca di tutto e in chiesa veniva qualche volta”, aggiunge. Di fronte c’è Pontassieve e più in fondo la valle dell’Arno con Firenze. I bombardieri americani facevano il giro, venivano da Firenze puntavano verso il Casentino poi scendevano giù in picchiata e scaricavano. Volevano distruggere la ferrovia e vi lanciarono mille tonnellate di esplosivo ma ogni tanto qualcuno sbagliava e colpiva Pelago. Una bomba finì sulla farmacia. Fu il periodo precedente la primavera di 75 anni fa, il 25 aprile qui la tempesta era già passata e il fronte era già risalito in Altitalia. Chi voleva riciclarsi l’aveva già fatto e questo accadde qui come altrove. In pratica dalla destituzione del duce il 25 luglio in poi ci fu un gran cambio di casacche e tante camicie nere cominciarono subito a stingersi fino a diventare bianche e anche rosse. Fenomeno cromatico che riguardò anche qualche prete che si era troppo sbilanciato con il fascio. "Anche il prete prima di me lo era".

Qualche compromesso si dette alla macchia in Secchieta, dove risalì con la camicia nera e da dove dopo un po’ scese come partigiano in camicia rossa e in sella ad un bel cavallo. Per dar prova di convinta adesione ci fu chi mise al mondo un figlio e lo chiamò Palmiro come Togliatti e poteva andare anche bene se lo stesso padre prima non ne avesse fatto battezzare un altro col nome di Benito. Chi aveva conti aperti di una certa gravità dovette vedersela con le vendette e tornò a casa un po’ malridotto ma più spesso per far dimenticare un passato compromettente bastava fare qualche sostanzioso regalino alle persone giuste. "Così dicevano".

In certi casi la soluzione diplomatica fu lungimirante perché quei cambi di casacca consentirono alla nuova Repubblica di poter contare su persone di grande valore. Sono passati alla storia locale un sindaco, comunista redento, Dario Peroni, e il suo segretario generale, tal Puliti, democristiano anche lui di fresca nomina. "Due grandi e soprattutto il segretario era uno capace e ben ammanicato a Roma, soprattutto con un sottosegretario ai lavori pubblici, che un’estate fu invitato a fare la villeggiatura, tutto pagato, alla Consuma, e da quella volta a Pelago non mancarono mai i finanziamenti per le opere pubbliche che vennero via via messe in cantiere, come sei o sette scuole.

Più cattivi i partigiani furono con la postina che era conosciuta come fascista e, come fu riservato ad altre donne, le tagliarono a zero i capelli e la costrinsero a scrivere sui muri: viva gli alleati, via l’America. Un ringraziamento meritato nonostante certi imperdonabili errori di cui si resero colpevoli i bombardieri Usa quando distrussero il castello di Nipozzano della famiglia Frescobaldi, scambiato per un nido di nazisti. Non tutto fu indolore. Non lo fu, ma questo successe prima del 25, la strage di 19 persone a Podernovo e Legacciolo verso la Consuma, dove i tedeschi uccisero vecchi e bambini.

Ma non mancarono episodi edificanti. “Il pievano nascondeva un’ebrea e un repubblichino lo avvisò che di notte sarebbe arrivata la banda Carità per prenderla. Allora il fattore e mio padre con un calesse, io all’epoca avevo 18 anni, la portarono a Poggio alla Croce sopra San Polo e la salvarono”, racconta don Bonini. Oggi Pelago non è molto diversa da allora con la chiesa al centro e ai lati due bar, uno bianco e uno rosso perché quella era l’Italia di don Peppone. La chiesa è ancora aperta e i bar invece sono chiusi, quello bianco per i divieti del virus e quello rosso perché non ce la faceva ad andare avanti. Metafora.

Pelago, il paese dove nacque Lorenzo Ghiberti, sarebbe più bello se qualcuno gli desse una spolverata e lo rianimasse come ai tempi in cui nella piazza si ritrovavano le donne per rivestire di raffia i fiaschi della Ruffino. "Ma quel mondo è finito – dice don Dario - e lo rimpiango perché c’era una grande fraternità". Oggi appena si salutano e allora invece si chiamavano per soprannome, il Bozzolo, il Lungo, il Sellaio o Baffo, come chiamavano Bube quando era partigiano sul Monte Giovi brigata Stella Rossa.

"Ma io tanta generosità la vedo anche oggi", corregge il sindaco Nicola Povolieri e si riferisce alla pena che suscita tra i paesani il sapere che ci sono più di sessanta ammalati di Covit e ci sono stati dieci decessi tra gli invalidi assistiti dall’Oda, il centro diocesano che è arroccato su un cucuzzolo dopo Diacceto. Una tragedia che viene vissuta come fosse un lutto di famiglia.