GHERARDO
Cronaca

"Per amore presi la “Capanna“ nel ’77. Cambiai le luci per far brillare le stelle"

Il viaggio nel tempo (a puntate) del re della notte prosegue con la stagione del rilancio dello storico locale

"Per amore presi la “Capanna“ nel ’77. Cambiai le luci per far brillare le stelle"

"Per amore presi la “Capanna“ nel ’77. Cambiai le luci per far brillare le stelle"

Guidi*

Correva l’anno 1977 quando tornai in Versilia. Era la terza volta che mi proponevano di rilevare la Capannina, alla fine dissi sì. Con mia moglie Carla iniziammo a studiare il locale, cercando di individuare i miglioramenti per rilanciare la “capanna” di Achille Franceschi.

In America esplodeva la discomusic, gli artisti emergenti erano Village People, Patrick Hernandez, Donna Summer e Gloria Gaynor. Riflettevo su cosa avevo visto a New York, in uno dei miei viaggi. Tra grattacieli e un traffico impossibile, colpito dalle mille luci della città che non dorme mai. Avevo visitato i locali alla moda, compreso il Régine al quale avevo dedicato la discoteca in riva d’Arno. Si parlava dello Studio 54 che avrebbe cambiato per sempre la notte. Eravamo nell’era della Febbre del Sabato Sera.

Presi la Capannina come atto d’amore, ma il sogno era la Bussola. Ci misi due anni per capirla. Piano nobile, primo tavolino vicino alla scala, sopra il palco. Volevo vedere come si muovevano ospiti e personale. Per non sbagliare, considerato che quella sala esigeva rispetto. Era un luogo caro a personalità, giornalisti, artisti, nobili e imprenditori. Vivevo quell’inizio attento alle critiche, un passo falso avrebbe complicato tutto.

Per prima cosa rividi la programmazione artistica. Le orchestre che lavoravano non andavano bene, le sostituii con Kelly, Valdambrini e Ponomaref alla tromba. Decisi di dare luce al palco: nuovi proiettori e impianto all’altezza del prestigio. Un quotidiano mi attaccò: scrisse che stavo snaturando la Capannina, ma il tempo è galantuomo e posso dire che avevo ragione io.

Rafforzai la proposta dell’aperitivo, andando a prendere artisti come Romano Mussolini col suo jazz al piano. Tutte le sere dalle 19, sarebbe diventato il punto di riferimento per il grande pubblico. Alle 21 la cena, con chef in grado di realizzare portate gourmet, prodotti di qualità ed eccellenza assoluta, consacrando il sufflè… Sfido il mondo su questa portata. Nella sala al piano nobile si giocava a carte. M’inventai il “passa-palo“: pane abbrustolito, filetto ben cotto tagliato a quadretti da 1,5 cm, lo stecchino per servirsi.

Lo stuzzichino perfetto per i giocatori, per lo più signore della Milano e della Firenze bene. A questo pensavo mentre mi sembrava di vedersi muovere, sul palco, Gilbert Becaud, Ray Sugar Robinson, Maurice Chevalier, Edith Piaf, Perez Prado, i Platters. Ovvero i giganti degli anni ’40 e ’50 che avevano consacrato il mito della Versilia. Avevano fatto divertire Pirelli, Barilla, Marzotto, Rizzoli, Moratti, Pesenti, Agnelli. Era una storia importante.

Insomma, dovevo tener presente che quel locale era la casa estiva di una clientela esigente. Ero sotto lo sguardo di tutti.

Non sono un puritano, non lo sono mai stato. Ma dovevo misurarmi con una realtà complessa. Mantenere rapporti coi nobili che avevano fatto la storia, nomi internazionali.

Per non sbagliare, andavo ripetendomi, avrei dovuto assicurare serate piacevoli. La musica delle orchestre non bastava. Eredi, rampolli, belle ragazze volevano le novità. E la novità era il disc-jockey. Avrei dovuto dosare i due momenti musicali. Per restituire la Capannina al rango che le compete chiamai Patty Pravo, Peppino di Capri, Fred Buongusto, Amy Stewart, Ornella Vanoni e altri di cui parleremo.

La Bussola era tramontata a metà degli anni ’70. Sergio Bernardini aveva capito, prima di tutti, che quel modello non reggeva, non a caso nel 1976 si era inventato “BussolaDomani“, grazie ai propri contatti e alla presenza fissa della Rai, forte di un cavallo di razza come Mina.

Io, più umilmente, ripartii dalle basi. Confermai il premio Satira. Un appuntamento nato nel 1973, prima che arrivassi, e che ho voluto mantenere perché lo sento come un “dovere” nei confronti di questa terra.

Andai a Roma a incontrare Armando Trovajoli. Gli chiesi di riportare la sua orchestra. Mi rispose: "Sono del 1917, ho sessant’anni e non sento più lo spirito di un tempo. Ci penserò". Poi mi telefonò, lusingato, ma un concerto in Capannina sarebbe stato più impegnativo di uno alla Cappella Sistina. Non se ne fece di niente. Passarono un paio d’anni. Una sera mi chiamano: sono arrivati tre clienti che chiedono di me. Trovajoli, Ettore Scola e Virna Lisi. Mi precipitai.

Il maestro criticò la musica dell’orchestra. Risposi, da modesto batterista, che era moderna, ma basata sul pentagramma. Ne parlammo un’ora. Alla fine li accompagnai alle auto e lui tornò sull’argomento. Stavo per rispondere in modo brusco, poi riflettei: avevo davanti un mito. Virna, donna eccezionale, si mise nel mezzo. Spiegò a Trovajoli che il mondo era cambiato, bisognava guardare al futuro. Ci abbracciammo.

(5 - continua)

Storico patron della Capannina