Per fortuna che c’è Bugo: "Faccio musica per reagire alla vita"

Chiusa la querelle con Morgan per i fatti di Sanremo, il cantante stasera a Buti ritrova la sua fede per il rock

Per fortuna che c’è Bugo: "Faccio musica per reagire alla vita"

Per fortuna che c’è Bugo: "Faccio musica per reagire alla vita"

di Andrea Spinelli

Morgan chi? Lontano mille miglia dalle vicende in cui è impantanato il suo sodale di un Sanremo sbagliato, Bugo si fa una lunga risata e rinnova la propria fede nel rock con quel Per fortuna che ci sono io che presenta stasera al Giardino Circolo Primo Maggio di Buti sotto l’egida del Musicastrada Festival. Nel rock ci crede lui, ma ci crede pure suo figlio Tito, sette anni, che nello strumentale a lui dedicato ripete questa certezza nella musica con la spina attaccata scatenando l’orgoglio paterno. "L’ho cresciuto bene", scherza il rocker di Rho trapiantato a Bruxelles, all’anagrafe Christian Bugatti, dieci album all’attivo.

"Pure a suo fratello Zeno, che ha solo un anno, faccio ascoltare tanto Il torero Camomillo che Yellow Submarine. Figli e moglie - Elisabetta Holsztejn Tarczewski, diplomatica in carriera - ndr - sono il mio porto sicuro. In famiglia faccio il marito e il padre, ma quando scrivo le canzoni lascio briglia sciolta al bambino che mi si agita dentro".

Perché “Per fortuna che ci sono io”?

"Perché è una frase che può dire chiunque. Un invito a trovare la forza dentro di noi nei momenti di difficoltà. Penso, infatti, di aver fatto un disco motivazionale ed empatico con tutti".

Ha definito quest’album "un lavoro fatto per trovare me stesso e un modo per reagire". A cosa?

"Innanzitutto, alla pandemia e a quei tre anni di distanza tra noi. E poi da venticinque anni a questa parte ho sempre fatto musica per reagire a qualcosa, alla vita e alle cose che accadono".

Il giudice ha stabilito che Morgan non l’ha diffamata, ma il ricordo di quel Sanremo lì la turba ancora?

"L’impatto che ha avuto si di me è stato tremendo, poi è arrivata la pandemia ad appesantire tutto. È una questione che mi sono lasciato alle spalle, ma da certe sue ricadute psicologiche devo ancora uscire".

Stufo della tv?

"Tutt’altro. Arrivasse la proposta di qualche programma legato alla musica, la valuterei con attenzione. Compreso il ruolo di giudice a X Factor".

“Mica siamo ad Hollywood” inizia con un “Silvia lo sai…” che sembra una citazione di Luca Carboni.

"Un caso. Comunque, a me Carboni piace, come piace Vasco Rossi che ha usato quel nome in un’altra famosa canzone. In un primo momento avevo pensato di cambiarlo, poi, invece, ho preferito unirmi al gruppo".

Prima l’India, ora il Belgio. Dove le piacerebbe essere portato dal lavoro di sua moglie?

"Il primo paese che mi viene in mente è il Giappone".

Per un musicista trovarsi a contatto con genti e culture diverse non è di stimolo?

"Non sono Jovanotti. Anche se a me i suoi dischi piacciono molto, non sono il tipo di artista incline a mischiare la sua musica con quella del luogo in cui si trova. Quando stavo a Nuova Delhi, ad esempio, non è che ho fatto un disco coi sitar alla Beatles (e parlo di uno dei miei gruppi preferiti). Viaggiare mi rende curioso, attivo, ma quando imbraccio la chitarra le canzoni vengono fuori allo stesso modo a Roma come a Bangkok".