ANDREA SPINELLI
Cronaca

Pfm canta De Andrè: "Fu un salto nel buio ma ci cambiò la vita"

Franz di Cioccio racconta come nacque la collaborazione artistica "Abbiamo aperto la strada a tanti altri". Giovedì lo spettacolo al Tuscany.

Pfm canta De Andrè: "Fu un salto nel buio ma ci cambiò la vita"

Lui era ’Due Orsi’, Faber ’Coda di Lupo’. Indiani metropolitani confusi tra le autoriduzioni, le cariche della celere, i lacrimogeni, di un ’78 spietato. Su e giù dal palco. ’Lui’ è Franz di Cioccio, col bassista Patrick Djivas spirito della Premiata Forneria Marconi, e i soprannomi, neanche a dirlo, se li era inventati De André. Debuttarono quattro giorni prima di Natale al Palasport di Forlì, a Firenze sbarcarono il mese successivo nel clima febbrile e umido del Teatro Tenda per registrare buona parte del (doppio) album dal vivo che ha affidato quel tour alla storia. Ecco il perché del termine "Anniversary" aggiunto al titolo dello spettacolo "Pfm canta De André" con cui giovedì (11 gennaio, ore 21) Franz & Patrick tornano sul luogo dell’evento (vista la memoria che se ne conserva in città sarebbe delittuoso definirlo del delitto). Per la Tuscany Hall un ricordo pure toponomastico, perché affacciata su quella via Fabrizio De André intitolata così anche per quei trascorsi. Quarantacinque anni dopo, dunque, alla Tuscany l’anniversario ha il sapore di un viaggio nel tempo a cui prestano suoni ed esperienza tre ospiti d’eccezione quali Flavio Premoli alle tastiere e alla fisarmonica, Michele Ascolese (collaboratore storico del cantautore genovese) alla chitarra e Luca Zabbini, leader dei Barock Project, alle altre tastiere. Assicura Di Cioccio che quando chiese a Fabrizio di fare con lui quel salto nel buio "mai avrei immaginato che l’esperienza avrebbe cambiato la vita ad entrambi".

Come accadde?

"I testi di Faber sono di un lirismo tale che, accostati alla nostra musica, creano qualcosa di unico e straordinario, destinato a durare nel tempo. Se ancora oggi abbiamo i teatri pieni, vuol dire che qualcosa s’è sedimentato. Tutto è cominciato con ‘La buona novella’, quando De André non pensava ancora di far crescere la melodia attorno alle sue parole. Anni dopo, ci ritrovammo in tour assieme e, davanti a pietre filosofali come ‘Amico fragile’ o ‘La guerra di Piero’, pensammo di creare una musica funzionale alla poetica che quei versi si portavano dentro".

L’affinità maggiore tra voi e De André?

"La nostra capacità più spiccata è quella di creare delle melodie all’istante così come Fabrizio era capace di buttare giù l’idea di una canzone in tre minuti".

Oltre alla sua e a quelle di Djivas e Lucio Fabbri, la presenza di Premoli ricompone i 4/6 della Premiata di allora.

"Anche se non fa più parte della band, con Flavio i rapporti sono quelli di prima e averlo sul palco è sempre un gran piacere perché, soprattutto alla fisarmonica, regala alla nostra musica colori straordinari. Basta ascoltare ‘Un giudice’ per farsene un’idea".

Se c’è, dove sta il segreto?

"La nostra è sempre stata una musica narrativa, piena di idee, funzionale, quindi, all’efficacia dei testi importanti. È stato così pure con le canzoni di De André e la collaborazione fra noi ha aperto una strada che poi hanno provato a percorrere in molti".

Il vostro fu il primo incontro tra la canzone d’autore e un suono prog di successo pure all’estero. Grazie ai Måneskin il rock italiano sta avendo sul mercato internazionale un’altra grande opportunità.

"I Måneskin hanno trovato un bel modo di stare assieme. E nel rock mostrarsi una band coesa paga. Penso siano un buon gruppo… un buon gruppo italiano, cosa che, soprattutto in America, alimenta degli immaginari. A mio avviso debbono ancora lavorare sulla musicalità, ma di tempo davanti ne hanno tanto".