STEFANO BROGIONI
Cronaca

Pia e Claudio, 40 anni dopo. La notte del mostro ancora più mostro: seminò terrore e non lasciò tracce

Alla Boschetta la calibro 22 trucidò le sue vittime più giovani. Sui vestiti della Rontini nel baule nessun dna

Pia Rontini e Claudio Stefanacci, giovani vittime del mostro

Pia Rontini e Claudio Stefanacci, giovani vittime del mostro

Firenze, 29 luglio 2024 – A Vicchio, la notte del 29 luglio di quarant’anni fa, il mostro fu più mostro che mai. Pia, poco più che una bambina, e il suo fidanzato Claudio, 21 anni appena compiuti, furono le sue vittime. Si erano appartati dove andavano sempre, alla Boschetta. Tant’è che, quando le rispettive mamme quella notte non videro tornare i loro figli a casa, un amico di Claudio raggiunse subito quel posto. Toccò a lui l’atroce scoperta delle due vittime più giovani di sempre di quella calibro 22 ancora oggi avvolta nel mistero.

L’estate del 1984. C’era paura, in quella stagione. Ma non così tanta da togliere la voglia di esplorarsi ai due fidanzatini.

E poi, l’assassino era in galera. Anzi, gli assassini: “I mostri sono due”, titolò il nostro giornale in un’edizione straordinaria quando, nel gennaio precedente, erano scattati gli arresti dei cognati Giovanni Mele e Pietro Mucciarini. Era la parabola della pista sarda, l’ipotesi investigativa mai del tutto tramontata perfino ai giorni nostri, che, ripartendo dal “nuovo” duplice delitto di Signa del 1968 e da quella pistola, sempre la stessa, mirava ad incastrare i responsabili di ulteriori cinque coppie ammazzate. La notte di Vicchio svegliò tutti all’improvviso, inquirenti compresi. Che con i nuovi spari della Beretta buttò all’aria intuizioni, fece crollare certezze e mettere nuovi sospetti nel mirino.

Quarant’anni fa, fu bestiale come non lo era mai stato prima, il mostro. Perché dopo aver trascinato Pia fuori dalla Panda celeste di Stefanacci, s’accanì non soltanto sul pube, ma le strappò, lavorando con una lama, pure un seno, il sinistro. Orrore nell’orrore.

Giancarlo Lotti, il compagno di merende pentito condannato anche per questo delitto assieme al postino Mario Vanni, raccontò che “Torsolo” e Pietro Pacciani, dopo aver ammazzato, lavarono il coltello nella vicina Sieve poi sotterrarono i feticci in una buca poco distante.

Nessuna traccia nel baule. Le parole di Lotti – urla di Pia comprese – sono state reputate credibili da tre tribunali, dalla corte d’assise in primo grado, fino alla Cassazione.

Oggi, l’avvocato Antonio Mazzeo, difensore di Vanni, ha l’incarico del nipote del postino per tentare la strada della revisione di quel processo, conclusosi con l’ergastolo al postino di San Casciano. Strada ardua, anche perché, oltre a un infinito braccio di ferro con la procura – poco incline a recepire i suggerimenti investigativi indirizzati verso un personaggio originario proprio del Mugello – neanche le più recenti e incidentali scoperte hanno fornito materiale utile.

La (flebile) speranza, riguardo a Vicchio, era legata al ritrovamento, in un baule, di tante cose appartenute a Pia. Questo baule era finito nel garage di un amico del suo babbo Renzo, e lì si era perso fino a quando i parenti del conoscente che aveva aiutato il Rontini negli anni più duri della sua vita non l’hanno casualmente ritrovato. Dentro, oltre ai suoi diari e il costume da majorette, c’erano pure gli ultimi vestiti che la giovane aveva indosso, quella notte in cui il mostro la uccise. Ma non c’era alcun dna sopra, oltre a quello di Pia.