MICHELE BRANCALE
Cronaca

Più che un cappello, è "un Medioevo sulla testa"

Le curiosità dagli studi di Sara Paci Piccolo, docente di storia dell'abbigliamento

Sara Paci Piccolo (foto di Antonello Serino)

Sara Paci Piccolo (foto di Antonello Serino)

Firenze, 29 agosto 2024 - Quale cappello ci mettiamo in testa? In una celebre canzone, Keith Reid invitava il protagonista del testo rimasto solo a sfilarsi la lobbia (homburg), perché il soprabito era troppo lungo, e ad andare via dalla stanza abbandonata da un’amica d’affari poliglotta. E’ evidente la simbologia e anche il messaggio: lo status serve fino a un certo punto contro la solitudine. Il cappello evoca il rispetto quando lo si toglie davanti a un evento e a qualcuno che si considera importante. E così via. Anche i cappelli hanno una storia e Sara Paci Piccolo, docente di storia dell’abbigliamento, di sartoria storica e di cultura materiale per diversi istituti di istruzione superiore, come il Polimoda di Firenze e il Fashion Institute of Technology di New York, ne ha ricostruito la storia, analizzando soprattutto la loro presenza nel Medioevo, nel libro ‘Medioevo sulla testa’ (edizioni Penne e Papiri), presentato tra l'altro in Palazzo Medici Riccardi. “Nella società medievale non avere un cappello voleva dire non avere alcun stato sociale – spiega Paci Piccolo - I copricapi, ossia anche le acconciature della testa, al pari di altri elementi tessili e d’abbigliamento, rivelano interessanti reti di influenze e relazioni di potere, dal punto di vista culturale, estetico, economico, ma anche da quello formale e strutturale”. Interessanti considerazioni sono svolte sui significati delle vesti e dei copricapi nelle celebrazioni liturgiche, soprattutto bizantine, con un richiamo: la liturgia deve essere bella e ad essa si doveva e si deve andare vestiti bene, nel senso di non sbracati, ma come antitesi del perbenismo: i poveri, infatti, sono fratelli, non vanno cacciati e si devono condividere con loro i vestiti.