LUCA
Cronaca

Plauto parla come i ragazzi di vita. Il racconto di una prima alla Pergola con i testi tradotti da Pasolini. La breve cronaca del “Vantone“

Paolo Emilio Poesio era un grande appassionato di teatro e un critico notevole sulle colonne della Nazione. L’articolo del 12 novembre 1963 racconta lo spettacolo del “Miles Gloriosus“ diretta da Franco Enriquez.

Plauto parla come i ragazzi di vita. Il racconto di una prima alla Pergola con i testi tradotti da Pasolini. La breve cronaca del “Vantone“

Paolo Emilio Poesio era docente nella scuola di recitazione di via Laura a Firenze e critico teatrale per La Nazione

Non sappiamo se il regista Franco Enriquez, nell’allestire Il vantone (ossia Il Miles gloriosus di Plauto nella versione di Pier Paolo Pasolini; interpreti principali: Valeria Moriconi, Glauco Mauri, Michele Riccardini; scene di Emanuele Luzzati; musiche di Ranieri Romagnoli) abbia avuto presente quel passo di Ettore Bignone in cui si legge: "Alla giovanile gaiezza della sua scena non basta più a Plauto il linguaggio comune del comico.... ma occorre la varietà e il pittoresco del canto, della commedia musicale, dell’operetta comica: la danza, la mimica. I lazzi e i gesti della pantomima".

Dimensione nuova

Forse si, forse no: in ogni caso, le righe che abbiamo citato si adatterebbero benissimo a riassumere e spiegare i termini registici adottati da Enriquez, per questa edizione plautina che non può mancare di mettere in sospetto i sostenitori del mantenimento del teatro classico entro formule e schemi prefissi, ma non può nemmeno essere accusata di totale arbitrarietà nelle intenzioni. Già il testo della traduzione di Pasolini ha arrecato a Plauto una dimensione diversa da quella cui siamo solitamente abituati (ma su questa strada, sia pure alla lontana, si era incamminato, non dimentichiamocelo, il Romagnoli, traduttore di Aristofane: andate a rileggere Lisistrata, per fare un caso, o Le nuvole).

Infatti il linguaggio impiegato vuol sostituire al latino originario un eloquio moderno con termini resi popolari dalle pagine di Ragazzi di vita e Una vita violenta. Linguaggio "greve" – direbbe un romano – era il linguaggio di Plauto: e la versione attuale non ne attenua certo la "grevità" anche se ai modi della Suburra antica sono subentrati i modi del Prenestino moderno rivissuti in una chiave tra classicheggiante e d’avanspettacolo, tra filologica e grottesca. Lievi, quasi inavvertibili i "tagli" e le interpolazioni pasoliniane. La novità consiste proprio nel vocabolario, nel movimento interiore del dialogo, nella spregiudicatezza di volgere la vigoria plautina in una versificazione ricca di rime, di assonanze, di enjambements che a momenti ricorda, a un orecchio esercitato, certi andamenti della poesia di Pascarella e Trilussa o ritmi prettamente popolani. Nel suo insieme, la storia del "vantone" Pirgopolinice vittima ingenua delle mene di Palestrione – il servo dall’inesauribile fantasia, autentico progenitore del molieresco Scapino delle Fourberies – è nota a chiunque abbia sfogliato una volta un manuale di letteratura latina o una storia del teatro.

Tinte accese

Costretta nella casa del generale "vantone", la bella Filocomasio ha trovato il modo, grazie alla complicità di Palestrione, di rag- giungere quando vuole il suo giovane amante, Pleusicle. Ma non basta: Palestrione le farà recuperare addirittura la libertà, con accompagnamento di ricchi doni, imbastendo un perfido intrigo: la cortigiana Acroteleuzio si fingerà moglie insoddisfatta di un vicino di casa di Pirgopolinice e quando questi, caduto nel laccio, andrà a godersi le grazie di lei troverà invece una nerboruta schiera di servi che lo bastonano e minacciano di sconciarlo ignominiosamente. Si sa che la critica ha rimproverato a Plauto di avere imbastito una trama nella quale ricorrono molte soluzioni gratuite. Pirgopolinice è uno sbruffone, d’accordo, ma il castigo inflittogli è sproporzionato: bastava sottrargli Filocomasio e già lo scherzo sarebbe stato cocente. Le legnate sono un sovrappiù, come è un sovrappiù il bisogno malvagio di tendere ai danni del povero generale millantatore non una, ma due beffe di seguito. Plauto mirava al riso grosso: ed è chiaro che qui non si preoccupò troppo delle sottigliezze (lo fece, al contrario, in altre commedie: Anfitrione, per dirne una). I personaggi sono così una galleria di tipi da prendere in blocco o lasciare. Ridicolissimi, furbissimi, ingenuissimi: o superlativi o nulla. Né ci sembra che Pasolini, nel tradurre, abbia forzato la mano a indicazioni psicologiche o polemiche o programmatiche: ma anzi, si sia fatto prendere dal piacere del gioco, prestando il linguaggio che dicevamo prima di questi campioni di una comicità senza secondi fini.