ALESSANDRO FIESOLI
Cronaca

Poggiali, la memoria della corsa: "Godetevi lo spettacolo. E’ un fatto storico per Firenze"

Roberto, 84 anni e una bella carriera alle spalle, racconta le sue imprese in Francia "Ero dietro Simpson sul Ventoux, lo vidi ondeggiare e crollare a terra. Gli scoppiò il cuore".

Poggiali, la memoria della corsa: "Godetevi lo spettacolo. E’ un fatto storico per Firenze"

Poggiali, la memoria della corsa: "Godetevi lo spettacolo. E’ un fatto storico per Firenze"

Roberto Poggiali, il Tour che parte da Firenze, l’avresti mai detto?

"Sono sincero: mai. Non riuscivo neanche lontanamente a pensarlo, quando lo correvo, e ne ho fatti tre da corridore e uno da direttore sportivo. E neanche dopo. E’ una bellissima sorpresa, il Tour sulle nostre strade. Ai fiorentini dico: godetevelo, è un fatto storico, per il ciclismo e per la città".

A 84 anni, sei sempre un modello e un compagno di strada per tutti i cicloamatori fiorentini. Siamo amici, diamoci del tu. Riavvolgiamo il nastro, ora. Fiorentino, di dove?

"Delle vecchie case popolari di via Arnolfo, al 20, e davanti all’abitazione dove sono nato c’era la Birreria Wurher. Figlio di Armando, autista della Centrale del Latte e di Marina, sarta in casa".

La prima biciclettina?

"Dal Montelatici, in via Gioberti".

Era la Firenze che usciva dalla guerra.

"Vedevo passare sul lungarno della Zecca, in allenamento, Bartali, Boni, Martini, Nencini, leggevo delle loro imprese su La Nazione e il Mattino, così mi appassionai al ciclismo, a 14 anni".

La tua prima società?

"Il gruppo sportivo Affrico".

La prima corsa da esordiente? "Al Bottegone, nel 1957".

La prima vittoria?

"A Badia a Settimo, alla mia terza corsa".

Poi il salto fra i dilettanti.

"Con la squadra dell’Iot, finanziata all’epoca dai professori Scaglietti e Fineschi, grandi appassionati di ciclismo. Ero bravo".

Così passasti professionista.

"Il professor Scaglietti operò alla schiena il proprietario dell’Atala, Cesare Rizzato, gli parlò di questo ragazzino molto promettente. E mi prese".

Una bella carriera, la tua. Professionista dal ’63 al ’78. La vittoria più bella la Freccia Vallone del ’65, davanti a Gimondi, nel giorno dell’esordio di un certo Merckx, un Giro della Svizzera e altri successi, luogotenente dello stesso Gimondi e poi di Moser, più volte azzurro con Martini commissario tecnico. Tredici Giri d’Italia, E tre Tour, nel ’67, nel ’69, nel ‘75.

"Una grande organizzazione, un bel romanzo, il Tour, compreso quando per il rifornimnto capitava di mangiare i panini sui gradini delle chiese, erano altri tempi".

Sei stato testimone della giornata più tragica della storia del Tour, la morte di Tom Simpson sul Ventoux, il 13 luglio del 1967.

"Partimmo da Marsiglia, e dopo pochi chilometri ci fu una brutta caduta di gruppo. A Carpentras, prima di attaccare il durissimo Mont Ventoux, c’era una festa di piazza e Simpson, che era un tipo simpatico, bizzarro, fu visto bere un bicchiere di cognac. Una giornata caldissima, fra quelle pietre. A due chilometri dalla vetta, ero con altri alla sua ruota, e lo vidi sbandare, una volta, due volte. Lì per lì pensavamo a una sua burla, che stesse scherzando. Crollò, gli era scoppiato il cuore".

La tappa più lunga, dei tuoi tre Tour?

"La penultima dell’edizione del ’67, da Clermont- Ferrand a Parigi, 360 km".

La più dura?

"Quelle sui Pirenei, sul Tourmalet e l’Aubisque".

La più amara?

"Quando arrivai secondo a Pau, scavalcato solo negli ultimi 400 metri da Gimondi. Ero scattato dopo una caduta, per non sentire il dolore delle ferite".

Il giorno più bello?

"L’ultima tappa del Tour del ’75, con l’arrivo per la prima volta sugli Champs Elysees invece che al Parco dei Principi. Emozionante. Entrai nell’ultimo giro in quarta posizione, davanti a Poulidor. Ho ancora i brividi, a riparlarne tanti anni dopo".

In totale, quanti km nelle tue gambe in 21 anni da corridore?

"Posso rispondere con precisione: 660 mila, ho sempre tenuto un diario giornaliero, dove appuntavo tutto".