Firenze, 13 novembre 2024 – “Non vogliamo essere lasciati soli, rischiamo di perdere il lavoro e le istituzioni non possono restare con le mani in mano”. Sofia Lodice è una giovane lavoratrice in una fabbrica di pelletteria e da un mese è in cassa integrazione. Con in mano una delle tante bandiere dei sindacati, innalzate davanti alla prefettura di Firenze, Sofia protesta per la mancata tutela di un settore a rischio, quello della moda, che da mesi sta subendo un grave calo del lavoro. “Temo per il mio futuro. Il made in Italy non può morire, porta un grosso valore al paese, sia al livello economico che di immagine”.
Non è diversa la storia di Stefania Gennari. Anche lei in cassa integrazione, anche lei con la paura di perdere il proprio posto di lavoro. “La mia azienda produce accessori metallici per i grandi marchi e non ha avuto commesse per i mesi di ottobre e novembre. Fino alla fine dell’anno non ci sono segnali di ripresa”. A gravare su una situazione di per sé difficile ci sono anche i ritardi nei pagamenti. “L’azienda non anticipa la cassa integrazione e l’Inps non paga puntuale. Ci sono 300 famiglie in seria difficoltà e i soldi a fine mese sono sempre meno. Se prima guadagnavamo intorno ai 1600 euro, oggi arrivare a 1000 è già tanto”. Molti lavorano solo poche settimane al mese, alcuni non lavorano affatto. Una situazione comune a migliaia di addetti. E il timore di tutti è che il lavoro non riparta.
“Hanno escluso i nostri settori dai sostegni – spiega Simone Lanotte, operaio di una pelletteria –. Non è giusto perché domani, quando ripartirà il lavoro, abbiamo bisogno di supporto. La paura è che gli investitori disinvestano i loro soldi per puntare su altri gruppi, lasciando senza lavoro gran parte di noi”. Nell’azienda di Ferruccio Pellegrini lavorano 70 operai, hanno passato un anno in cassa integrazione e da settembre hanno un contratto di solidarietà. “La prospettiva, da ciò che dicono, è che fino alla metà del 2025 non ci sarà ripresa. Prima o poi gli ammortizzatori finiranno e allora si passerà ai licenziamenti”.
Ruth Perez lavora circa 5 ore al giorno, il resto invece è cassa integrazione che, a differenza di quanto accade a molti altri, le viene anticipata dall’azienda: “Io mi ritengo fortunata, però mi preoccupa cosa potrebbe accadere se il lavoro non ripartisse”. Tra chi protesta anche Alice Micheli, che pure ancora lavora regolarmente. “Sono qui per esprimere solidarietà alle migliaia di persone che rischiano il posto di lavoro, tra queste c’è anche il mio compagno. La moda è un settore ancora poco sindacalizzato e necessita di una tutela in più, non in meno”.