DAVID ALLEGRANTI
DAVID ALLEGRANTI
Cronaca

Quando il giornalismo non piace al potere

Non deve sorprendere la prima reazione di Donald Trump allo scoop di Jeffrey Goldberg sulla ormai famigerata chat su Signal...

Come spiega Lee McIntyre, docente di etica ad Harvard, «la disinformazione deve essere creata, amplificata e creduta»

Come spiega Lee McIntyre, docente di etica ad Harvard, «la disinformazione deve essere creata, amplificata e creduta»

Non deve sorprendere la prima reazione di Donald Trump allo scoop di Jeffrey Goldberg sulla ormai famigerata chat su Signal con i piani militari degli Usa contro gli Houthi: "Sta fallendo, chiuderà presto". È così che si delegittimano i media considerati ostili. Non è tuttavia un’invenzione di Trump, che ha potuto contare nella sua carriera politica su una radicata sfiducia nel sistema tradizionale giornalistico. Fin dal 1972, l’istituto di ricerca Gallup interpella gli statunitensi sulla loro fiducia nei media. Oltre 50 anni fa, gli americani che dicevano di fidarsi molto o abbastanza dei media erano il 68 %. Nell’ottobre 2023, a un anno dal voto, la percentuale era scesa al 32%, peraltro la stessa del 2016, quando Trump vinse le elezioni presidenziali contro Hillary Clinton; allo stesso tempo, un altro 29% degli statunitensi adulti diceva di non avere molta fiducia nei media, mentre il 39% – record – affermava di non averne affatto.

Pochi giorni fa è uscito un nuovo rapporto dell’istituto Gallup e le cose non sono migliorate. Nel complesso è cresciuta la quota degli statunitensi che dicono di non fidarsi molto o per niente dei media. Il 36% non si fida affatto, mentre il 33% non si fida molto (in totale il 69%). Una cifra non da poco. Trump ha sfruttato e alimentato questa sfiducia nel sistema mediatico attraverso continui attacchi, alcuni anche personali, contro giornali, radio e tv. D’altronde, come spiega Lee McIntyre, "la disinformazione deve essere creata, amplificata e creduta. Se lo scopo è semplicemente ritardare la verità abbastanza a lungo da raggiungere un obiettivo a breve termine (ad esempio, realizzare un profitto), probabilmente è sufficiente sollevare dei semplici dubbi. Ma se l’obiettivo non è ritardare la verità bensì ucciderla, se l’obiettivo a lungo termine è politico o ideologico, è necessario fomentare la sfiducia". Nel 2018, dopo le elezioni di midterm, Jim Acosta, allora giornalista della Cnn, ebbe un confronto serrato con Trump durante una conferenza stampa, al termine della quale il presidente chiese al suo staff di togliergli il microfono. "Pensa di aver demonizzato i migranti durante queste elezioni?", chiese Acosta, scatenando la reazione di Trump. Il giornalista della Cnn continuò a fare domande finché non gli fu impedito di parlare. Sia alla Casa Bianca, nelle sue funzioni di presidente, sia come candidato presidente, ha attaccato tv e giornali etichettando articoli, inchieste, notizie, come ’fake news’.

Non è tuttavia una specificità di Trump: la capacità dei personaggi pubblici di emarginare e controllare l’accesso alla stampa si sta normalizzando lungo tutto l’arco costituzionale, dappertutto, in ogni paese. E "solo una società intatta sviluppa la spinta alla verità. L’affievolirsi della spinta alla verità e la disintegrazione della società sono reciprocamente dipendenti", dice il filosofo Byun Chul Han, che spiega perché "la crisi della verità si diffonde laddove la società si disgrega in raggruppamenti o tribù tra i quali non è più possibile alcuna intesa, alcuna designazione vincolante delle cose. Nella crisi della verità si perde il mondo comune, anzi il linguaggio comune. La verità è un regolatore sociale, un’idea regolatrice della società".

[email protected]