"Non c’è futuro senza memoria". È la frase che ieri ha accompagnato la cerimonia promossa dalla Comunità di Sant’Egidio e la Comunità Ebraica, in ricordo della deportazione degli Ebrei fiorentini operata dai nazisti il 6 Novembre del 1943. Soltanto 15 di loro tornarono dai lager: otto donne e sette uomini.
A partecipare alla celebrazione anche tanti parenti, che di fronte alla lapide con i nomi dei fiorentini deportati sono rimasti in silenzio, in ricordo di quelle vite rubate. Alessandra Passigli è la bis nipote di Guido e Virginia, 64 e 60 anni, catturati a Roma il 16 Ottobre del 1943. "Erano andati a trovare il fratello di Guido, poi sarebbero voluti partire per l’America per ricongiungersi con la loro figlia, ma non ce l’hanno fatta. Io conosco la loro storia grazie a dei bigliettini che Virginia riuscì a scrivere durante un giorno e mezzo di permanenza al collegio militare a Roma, dove vennero rinchiusi prima della partenza per Auschwitz". I messaggi erano stati scritti su dei fogli strappati da un’agenda, in fretta e furia, e spediti alla cognata di Guido che non era ebrea. Per passare la censura dell’epoca Virginia, la bis nonna di Alessandra, aveva utilizzato una sorta di codice.
“Scusa la scrittura ma scrivo da ritta. Salutate tutti, fate le cose per bene, Guido come sempre è il capo della comitiva, brillante e coraggioso“. "Si percepisce la nobiltà d’animo di queste persone che non hanno voluto far trasparire la drammaticità di quel momento – continua –. Forse per non far preoccupare chi avesse letto il messaggio. Erano in partenza per un viaggio sperando in una nuova vita, in America, invece, arrivati ad Auschwitz sono stati uccisi quasi subito".
La nonna di Alessandra e suo padre, Guido Baldo Passigli, riuscirono a salvarsi. "Si rifugiarono in un convento al Gignoro, lei vestita da suora e lui fingendosi un orfano. Gli era stato detto che se qualcuno gli avesse chiesto il suo nome lui avrebbe dobuti dirsi Giuseppe".
“Chelmno“, “Mauthausen“, “Sobibor“, sono solo alcuni nomi di campi di concentramento, scritti su dei cartelli neri ed impugnati dai partecipanti alla manifestazione.
"La memoria che portiamo oggi è una memoria di quegli anni terribili ed un patrimonio che non va disperso, anzi difeso con forza -ha detto Enrico Fink, presidente della Comunità Ebraica-. Non c’è futuro senza memoria, ma non può esserci neanche presente. Ciò che costruiamo qui è una memoria che riguarda tutta la collettività". Ad indossare la fascia tricolore ed esprimere la vicinanza delle istituzioni l’assessora alla cultura della memoria e della legalità, Benedetta Albanese. "Il messaggio è forte ed una fascia ed un gonfalone rappresentano la sindaca, il comune, la giunta, ma più di tutto la comunità fiorentina. Questo incontro serve a non lasciare indietro pezzi di storia che devono essere ribaditi, affinché si possa costruire un futuro di pace. E lo facciamo ricordando quanto male è stato fatto in passato e quante vite non sono riuscite a compiersi".
La deportazione degli ebrei fiorentini fu avviata il 6 Novembre 1943 dal comando Nazista che aveva già operato a Roma, vennero arrestate oltre 300 persone che il 9 Novembre furono caricate sui treni diretti ad Auschwitz. Solo 107 superarono la selezione per l’immissione nel campo, gli altri vennero immediatamente eliminati. Nell’elenco figuravano 8 bambini nati dopo il 1930 e 30 anziani nati prima del 1884.