
Spadolini durante una visita all'università di Firenze nel 1979
Firenze, 5 febbraio 2021 - Si fa presto a dire Rinascimento. Poi ci si accorge che con Mario Draghi siamo al terzo presidente del coniglio che arriva dai ranghi dell’Ateneo fiorentino, e si rammenta di come Firenze non sia solo Brunelleschi o Botticelli ma anche una delle capitali europee del pensiero politico, o quantomeno di quella sua branca chiamata “scienza della politica“ che proprio qui venne codificata. Non un dato da poco.
Tre primi ministri ex professori dell’Università fiorentina, dicevamo. Il primo fu Giovanni Spadolini, repubblicano e giornalista, l’uomo che nel giugno del 1981 interruppe il lungo rosario di capi del governo dc che si snocciolava dal dopoguerra. Figlio di un pittore macchiaiolo, Spadolini era stato professore di spicco dentro le aule di Scienze Politiche.
A volerlo come insegnante della Cesare Alfieri era stato il preside della facoltà, Giuseppe Maranini (del quale riparleremo più avanti) e l’Ateneo, visto il prestigio del neo docente, istituì appositamente la cattedra di “Storia contemporanea“, che lui modellò a suo gusto e somiglianza. Faceva parte del personaggio.
Il secondo professore-premier è storia recente, ovvero quel Giuseppi Conti, figlio del segretario comunale di Cerignola, divenuto ordinario di diritto privato nel polo di Novoli e passato dalla cattedra fiorentina a Palazzo Chigi nel soffio di qualche mattino.
Una carriera travolgente e inaspettata, quasi un sogno americano di quelli filmati da Frank Capra. Tant’è. Con il terzo personaggio si torna al passato, ovvero a quei locali demodé e gonfi di domande di via Laura, dove aveva sede la facoltà di Scienze Politiche, che nel 1978 accolsero un ancor giovane Mario Draghi affidandogli la cattedra di Economia Internazionale e poi quella di Economia Monetaria fino al 1991. Un tipo già allora autorevole e con l’aplomb del predestinato, che nonostante l’approccio cordiale agli esami non concedeva niente, come può testimoniare con sofferenza chi scrive.
Giovanni il giornalista, Giuseppe l’avvocato del Popolo, e Mario l’uomo dell’Economia mondiale: un caso che tre docenti dell’Ateneo fiorentino, seppur così diversi, si siano ritrovati con lo stesso appartamento a Palazzo Chigi? Forse no.
Perché Firenze, nonostante spesso ciò non emerga, è una capitale europea del pensiero politico, con un humus secolare che non può cancellarsi. Qui, con Niccolò Machiavelli agli inizi del ’500, è nato il concetto di politica come scienza e qui, con Guicciardini suppergiù negli stessi anni, ha preso campo la storiografia moderna.
Un luogo abituato a pensare politico, con un concetto profondo di civitas. In fondo è la stessa Europa a riconoscerlo, avendo voluto realizzare nel 1976 proprio qui il suo Istituito Universitario, facendo diventare la Badia Fiesolana un punto di riferimento per i migliori studenti europei che vengono in questa manifattura luminosa del Sapere ad affinare gli studi giuridici, economici e politici.
Se ciò è successo è perché qui a Firenze nel tempo ha poi studiato e prodotto gente come Pietro Calamandrei, giurista e rettore dell’Università dopo la caduta del fascismo, l’uomo che elaborò e poi difese la costituzione con parole altissime: «Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero perché lì è nata la nostra costituzione».
Gente come Giovanni Sartori, pensatore globale, l’uomo a cui si deve la nascita della scienza politica come disciplina accademica. E poi il succitato Giuseppe Maraini, dal 1949 preside della “Cesare Alfieri, lo studioso a cui si deve il termine “partitocrazia“, usato per la prima volta nel discorso che aprì l’anno accademico 1949/50. A questi ultimi e ad Alberto Predieri e Alberto Spreafico si deve la cosiddetta “scuola fiorentina“ della scienza politica, caratterizzata per l’approccio interdisciplinare al diritto, alla storia e alla politologia.
E ancora: Silvano Tosi e le sue lezioni sul Parlamento come “clinica della Costituzione”, cioè il luogo in cui si verifica lo stato di salute delle istituzioni. E poi Paolo Barile ,Ezio Tarantelli e la sua fine tragica per la degenerazione folle delle Br.
Firenze è stata una formidabile palestra per la formazione del pensiero politico e del carattere pubblico. E forse non è un caso se anche l’articolo più bello della Costituzione, l’articolo 2, sia stato elaborato da un politico fiorentino cresciuto in questo humus qual era Giorgio La Pira: «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale».
Sì, Firenze oltre la meraviglia dei suoi quadri, l’armonia delle sue statue, dei suoi tetti rossi e dei suoi tramonti sul’Arno, è anche questo. Un laboratorio formidabile del pensiero e della cultura civica. Il fatto che per ricordarselo serva l’elezione di un presidente del consiglio, da una parte rincuora, dall’altra perplime.