STEFANO CECCHI
Cronaca

Quel covo nel cuore della Rifredi operaia. Le Brigate Rosse a Firenze negli anni più neri

Durante il sequestro Moro, i terroristi decidevano le loro strategie da un appartamento di via Barbieri. Il ruolo del professor Senzani

Strage di via Fani (Ansa)

Firenze, 20 marzo 2021 - Via Barbieri è un breve tratto di strada conficcato fra via delle Panche e via Reginaldo Giuliani. Palazzoni tutti uguali e un piccolo giardino ne tracciano i confini. Ancora oggi, 43 anni dopo, sembra impossibile che proprio in un appartamento di questa via anonima e periferica di Rifredi ci fosse la centrale operativa del sequestro Moro. Il luogo dove, durante i 55 giorni del rapimento, si riunì il comitato esecutivo Br per teleguidare da lontano l’interrogatorio, redigere i comunicati e, alla fine, decidere l’assassinio.

Firenze e le Brigate Rosse. Il tema torna d’attualità in questi giorni dopo che la procura di Roma ha chiesto l’esame del dna per Giovanni Senzani, il più enigmatico fra i leader brigatisti. I giudici vogliono capire se l’allora professore dell’ateneo fiorentino, fosse stato presente in prima persona in via Fani il giorno dell’agguato. Non solo. Gli stessi ipotizzano che Senzani possa essere il misterioso “irregolare” che ebbe un ruolo decisivo nella strategia e nella conduzione di tutto l’affaire Moro. Una tesi in controtendenza con le sentenze, che vorrebbero Senzani aderire alle Br solo dopo il sequestro del presidente Dc, ma che è supportata da nuove testimonianze che potrebbero aprire nuovi squarci su quei giorni bui, quando la nostra città ebbe un ruolo centrale nelle gestione del rapimento.

Firenze e le Br, dunque. Allora sembrava impossibile che la centrale operativa dei terroristi potesse essere qui. Nessun grave fatto di sangue aveva colpito la zona dal 1977 alla fine del 1978 e anche i leader brigatisti arrivavano tutti da altre terre. Invece quell’apparente distanza geografica dal terrore era solo una scelta ben pianificata dagli stessi brigatisti.

Firenze, equidistante fra le militarizzate Milano e Roma, era infatti il luogo ideale per ritrovarsi con meno rischi. Il comitato toscano brigatista fin lì aveva compiuto solo alcune azioni criminose minori: aveva fatto saltare l’automobile a un dirigente della questura, a due giornalisti e a un politico. Gli ultimi attentati erano stati fatti a due professionisti impegnati nel settore carcerario, il professor Modigliani, responsabile del servizio sanitario nel carcere delle Murate, e l’architetto Inghirami, uno dei progettisti del carcere di Sollicciano. Quando, alcuni giorni prima del 16 marzo, fu deciso di non compiere più nessuna azione fino al termine del sequestro Moro. Il modo migliore per abbassare la tensione e favorire le riunioni del comitato esecutivo.

In via Barbieri, nell’appartamento acquistato a suo tempo dal brigatista pisano Giovanni Ciucci con i soldi derivati dal sequestro Costa, si ritrovavano dunque i maggiori esponenti Br, da Mario Moretti a Lauro Azzolini, da Franco Bonisoli a Rocco Micaletto e forse anche lo stesso Senzani. E da qui preparavano le domande da fare al prigioniero nel covo di via Montalcini a Roma. A Rifredi con ogni probabilità venne stilato anche il testo dell’interrogatorio di Aldo Moro, ritrovato anni dopo nel covo di via Monte Nevoso a Milano. Per comporlo si usarono delle macchine da scrivere e un ciclostile rubati qualche settimana prima alla facoltà di Matematica.

Firenze fu anche la città che fornì le armi per l’agguato di via Fani, grazie a un militante di Potere Operaio che fece un colpo in un armeria, e poi fu il luogo che ospitò Mario Moretti e Barbara Balzerani dopo che la polizia aveva fatto irruzione nel loro covo in via Gradoli a Roma. I due terroristi per qualche mese abitarono in un appartamento di via Unione Sovietica, preso in affitto dallo stesso Giovanni Ciucci, e da lì gestirono le vicende dell’organizzazione terroristica.

Firenze, luogo dunque centrale nell’affaire Moro, che improvvisamente fu abbandonato dalle Br per due eventi assolutamente fortuiti. Il primo fu l’arresto il 19 dicembre del 1978 di quattro brigatisti. Dante Cianci, Paolo Baschieri, Giampaolo Barbi (tutti ex militanti di Potere operaio) e Salvatore Bombaci, ex di Autonomia operaia, furono fermati sulla loro auto per un controllo casuale sui viali. Da loro si risalì appunto al covo di via Barbieri, che però al momento dell’irruzione venne trovato vuoto. Perché? Per un fatto ancor più casuale.

Qualche settimana prima su un autobus dell’Ataf era stato ritrovato un borsello smarrito da qualcuno. Dentro, con grande sorpresa, vennero ritrovate un’arma da guerra e dei documenti che riconducevano a un brigatista, Lauro Azzolini, uno dei componenti del comitato strategico. Costui, sul bus della linea 2 che allora passava da via Palmieri, di ritorno da uno degli incontri del vertice si era dimenticato il borsello sul mezzo pubblico e le Br, per paura che la polizia potesse risalire al covo, avevano deciso in fretta e furia di abbandonarlo. Un particolare significativo a dirci come quella che allora credevamo una organizzazione armata dalla geometrica potenza infallibile, fosse in realtà un manipolo di sciagurati assassini fuori dalla realtà, con tratti di cialtronaggine nemmeno di poco conto.