
di Olga Mugnaini
Avvelenatrice e ingannatrice, perfida e senza cuore, tanto da augurarle che la pece bollente le bruciasse il petto. A far incidere un’ara con ogni sorta di maledizione e la damnatio memoriae, era stato il marito della liberta Giunia Atte. L’infame moglie, non solo gli aveva messo le corna, ma era anche fuggita con l’amante, dopo aver raggirato il padrone malato, portandogli via l’ancella e un giovane schiavo.
Tutto ciò accadde in età flavia (69.96 d.C.), ma ancora oggi sappiamo di questa truce storia grazie a uno splendido marmo lunense, riccamente scolpito, di proprietà della Galleria degli Uffizi ed esposto insieme ad altri trenta opere, tra busti sculture e monete. Una selezione di raffinati pezzi antichi che danno vita alla mostra dal titolo “Imperatrici, matrone, liberte“, a cura di Novella Lapini, visibile da oggi fino al 14 febbraio al primo piano degli Uffizi.
Tra queste opere archeologiche, anche le sculture raffiguranti la madre di Nerone e la moglie di Domiziano, per spiegarei tanti e rilevanti ruoli della donna nella società del tempo. Donne che, allora come oggi, potevano essere forti, potenti, determinate, indipendenti. E quindi, di conseguenza, discusse e ribelli. I busti di queste signore romane dell’età imperiale, ritornano così con le loro vicende, i loro segreti, le loro battaglie di emancipazione civile, politica ed economica.
Come ricca, ad esempio, doveva esserlo Pompeia Trebulla, potente matrona dell’élite di Terracina che sotto l’imperatore Claudio, era in grado di far restaurare a sue spese il tempio dedicato a Tiberio ed alla madre Livia, ponendo così il suo nome accanto a quello degli Augusti in un significativo gesto di indipendenza e potere femminile.
C’è poi il busto di Domizia Longina, la chiacchierata sposa di Domiziano. E il ritratto della celeberrima madre di Nerore, Agrippina Minore, un busto del I secolo d.C., di raffinata fattura, con piccoli riccioli che ornano il viso della donna. Esaltata dal fratello Gaio Caligola appena salito al potere, fu poi esiliata con le sorelle, per essere richiamata a corte dallo zio Claudio e adottare il figlio Claudio Nerone, che l’avrebbe infine fatta ricadere in disgrazia.
L’itinerario è ampliato da importanti prestiti del Museo Archeologico Nazionale, fra cui preziose monete d’oro di epoca romana. Dalla Biblioteca Nazionale arrivano i codici cinquecenteschi che dialogano con i disegni della stessa epoca conservati al Gabinetto dei Disegni e delle Stampe degli Uffizi, mostrando le diverse raffigurazioni delle antiche epigrafi presenti in mostra.