
Giovanni
Morandi
Ogni stagione ha la sua canzone. In questi giorni ne è uscita una di Lorenzo Andreaggi, una dichiarazione di amore per la Fiorentina ma non un nuovo inno, ché quello di Narciso Parigi basta e avanza. Ogni epoca ha la sua canzone, c’è quella celebrativa di Spadaro “Firenze città di ingegni arditi”, quella romantica di Claudio Villa “Firenze stanotte sei bella in un manto di stelle”. E quella di Pupo (in foto), forse la più bella, con tanta voglia di vivere e la stazione di notte anni Settanta Ottanta, tranquilla, sicura, là dove oggi invece la cronaca ce ne descrive una segnata dal degrado, dall’abbandono, dai cantieri eterni, dalla violenza, dallo squallore, dalla povertà, dalla malavita, dalla droga. “Le luci spente delle due di notte Passa un barbone con le scarpe rotte La notte qui non è come a Milano O a Roma sempre pieno di casino Fra quasi un’ora arriva la Nazione Un ferroviere fischia una canzone Una signora senza suo marito La guardi bene, è solo un travestito Firenze Santa Maria Novella sogna Povera ancora di vergogna Sembra lo specchio della sua città Firenze Santa Maria Novella almeno Mi fa sentire un po’ sereno E il portafogli non mi ruberà”. Più che una poesia un affresco realista dove ci siamo tutti, a cominciare dai ragazzi che verso mezzanotte, richiamati dalla curiosità che non sapeva attendere, arrivavano dalla periferia e si mettevano in coda con le auto e i motorini in via Valfonda fino a piazza Adua, davanti all’edicola che ora non c’è più e che allora era aperta giorno e notte. Con i ragazzi in coda, i soldi in mano, ad aspettare il furgone della Nazione con le copie appena uscite dalle rotative di piazza Ghiberti. Nemmeno scendevano dal motorino o dall’auto, prendevano la copia al volo e via a casa, a farsi una spaghettata con gli amici e a leggere il giornale prima di andare a dormire. Era un rito che ti faceva stare bene, inebriava, ti faceva stare con gli altri, guardare Santa Maria Novella illuminata, sentirla come fosse casa. Un rito che dava una sensazione di piacere, leggere il giornale di domani alla stazione luogo sicuro non che fa paura come oggi. Un tempo che ci appare lontano, che ci fa pensare a quella Firenze come migliore di quella che abbiamo, e forse non è così perché la nostalgia inganna, è dolce ma falsa. E’ capace di accecare chi si fa prendere dalla tentazione di guardarsi indietro.