
Stefano
Cecchi
Ho scoperto casualmente che non c’è più e dentro di me ho provato un piccolo dispiacere. Sì, l’altra sera passando per via Panzani ho scoperto che il vecchio albergo "La Gioconda" non c’è più. O meglio: ho scoperto che questo è stato restaurato (con grande gusto) e che la nuova proprietà, oltre a cambiare stanze e arredamenti, ha voluto cambiare anche il nome. Che non era certo casuale. Perché proprio nelle stanze di quell’hotel, nel dicembre del 1913, era stata ospite suo malgrado la prestigiosa tela dipinta da Leonardo da Vinci che un imbianchino varesino, Vincenzo Peruggia, aveva sottratto al Louvre due anni prima. Convinto erroneamente che la Monna Lisa fosse stato rubata da Napoleone, costui s’era messo in testa di riportarla in Italia dove, per senso di giustizia, avrebbe dovuto trovarsi. Per questo aveva scritto a un collezionista d’arte fiorentino, Alfredo Geri, proponendogli la vendita della tela. Solo che Geri, dopo aver fatto venire Peruggia a Firenze, informò della cosa i carabinieri che corsero nell’albergo di via Panzani dove aveva preso alloggio (nel 1913 si chiamava hotel "Tripoli"), e arrestarono lo sciagurato imbianchino patriota recuperando il quadro. Una delle tante storie che la città può raccontare e che l’insegna dell’hotel (che appunto dal 1914 fino a qualche mese fa si chiamava "La Gioconda") rievocava. Per carità, niente di grave in un luogo che mostra ogni giorno al mondo mille altri riferimenti più colti. Ma i luoghi sono fatti anche di memorie delle piccole cose. Piccoli simboli che fanno comunità. Per dire: a me fa piacere che sui muri della città vengano ricordati personaggi o eventi piccoli o grandi che hanno in qualche modo segnato la cronaca cittadina. E dunque viva la targa in piazza Pitti che ricorda il Dostoiewski venuto in città a redigere "l’Idiota" ma anche quella in via della Spada dedicata al conte Negroni e al suo cocktail alcolico. Viva il cippo che ricorda il passaggio della grandissima poetessa Elisabeth Barret Browing ma viva anche le targhe che indicano dove arrivò l’Arno nel 1966 o quella che ricorda la location di "Amici Miei" accanto al bar Necchi. Comunque storia della città che è bello sia ricordata. Per questo provare dispiacere per il nome cambiato di un albergo non credo sia provincialismo beghino piuttosto amore profondo per le vicende di un luogo che, proprio grazie a queste, può a ragione dirsi universale.