
Un movimento franoso sulle strade di Vaglia, la località che ha. fatto registrare il numero di millimetri di acqua maggiore
"Nonostante le tecnologie attuali è scientificamente impossibile capire dove picchierà esattamente una bomba d’acqua. Per questo siamo così vulnerabili". Nicola Casagli, professore di Geologia applicata all’ateneo fiorentino, cerca di fotografare il disastro di una settimana fa con la furia di Giove Pluvio che si è accanita sui crinali del Mugello, sulla Piana e in Valdisieve graziando, fatta eccezione per un qualche batticuore legato alla piena dell’Arno, Firenze città.
Professore, scorrendo la mappa del territorio fiorentino alla voce ’pericolosità idrogeologica da frana’, notiamo che le zone contrassegnate da ’estremamente elevata’ sono perlopiù in Mugello. "È una zona montuosa spesso colpita, anche se in misura minore rispetto a Garfagnana e Lunigiana. Ma il punto non è il rischio di queste frane che classifichiamo come ’lente’".
Ci spieghi meglio. "Le cosiddette ’frane lente’ sono storiche, note, ereditate dal passato e soprattutto ben monitorate". Quante sono? "Circa 90mila in Toscana, controllate nei loro movimenti da due milioni di punti al suolo attraverso l’agenzia spaziale europea Sentinel. Ma non sono queste le responsabili dei fatti avvenuti nei giorni scorsi. E non lo furono, per dire, neppure in occasione dell’alluvione di Campi Bisenzio nel 2023".
A chi imputiamo i disastri dello scorso 14 marzo allora? "Alle frane rapide, le più ’bastarde’. Mi scuso per il termine non proprio scientifico". Beh, è senz’altro appropriato. Le definisce tali perché imprevedibili? "Esattamente. Se in poche ore vengono giù in una determinata zona 100, 200 o 300 millimetri di pioggia non c’è terreno che regga. C’è uno scorticamento del suolo, il terreno sabbioso si liquefà e diventa una colata di fango che travolge tutto".
Impossibile mapparle. "E come si fa? Pensi che con l’alluvione in Emilia Romagna se ne calcolarono circa 80mila. Movimenti piccoli, grossi più o meno come un campo da tennis. Ben diverse dalle 90mila mappate in Toscana che sono grandi dalle dieci alle cento volte di più".
Lo stato di salute del territorio fiorentino per quanto riguarda i fiumi? "Guardi, le tasse non piacciono a nessuno ma devo dire che pago volentieri il contibuto per il Consorzio di bonifica perché qui, a differenza di altre regioni, i fiumi vengono ripuliti meglio. Ma c’è un altro aspetto dove non si fa abbastanza ed è un problema comune, non solo toscano".
Ci dica? Non si interviene sull’abbandono delle montagne e sull’agricoltura collinare che non c’è più. I motivi maggiori dei fenomeni estremi di questi tempi hanno origine proprio dalle colline e dai boschi".
Non sono curati abbastanza? "Non più. Gli alberi crescono senza regole e quando le radici cedono i tronchi vanno giù e dove si fermano? Al primo ponte, ovviamente. Quindi anche se i fiumi vengono ripuliti poi alla prima bomba d’acqua si riempiono di terra, alberi, detriti".
La montagna fiorentina come sta? "Tutte le montagne, come il bacino del Mugello, sono potenzialmente rischiose. Ma lo è anche la Piana. Ripeto è difficilissimo però capire oggi quali sono le zone più pericolose. Guardi cos’è successo una settimana fa: avevamo un’iniziale allerta arancione su tutto il territorio ma poi la pioggia ha colpito di più il Mugello e poco la montagna pratese e quella pistoiese".
Come difendersi allora? "Seguendo con attenzione le allerte e mettendosi al sicuro. Se non fosse stato diramato l’allarme a quest’ora saremmo a contare i morti".