Chissà se nella sala di Clemente VII a Palazzo Vecchio il sindaco Dario Nardella ha ancora appesa la foto con Matteo Renzi. Fino a qualche tempo se ne stava lì, vicino a quella che ritrae il primo cittadino con Papa Francesco. Dubbio legittimo visto che i rapporti, da scricchiolanti che erano da un pezzo sono definitivamente precipitati nelle ultime ore con lo strappo legato alla candidatura di Sara Funaro, difesa a spada tratta fin dal primo momento da Nardella e invisa a Renzi perchè nardelliana.
Sembrano il Paleolitico i tempi in cui l’ex Rottamatore, prima di fare armi e bagagli per trasferirsi a Palazzo Chigi, investì l’ormai ex delfino come suo successore a Palazzo Vecchio. Un idillio che inizialmente andò avanti fino ad avviarsi, lentamente, verso lo sgretolamento. La crescita della popolarità di Nardella in città (nel 2019 rivinse nettamente con il 57% al primo turno) e la sua fisiologica ascesa all’interno del Pd nazionale non poteva non entrare prima o poi in contrasto con il nuovo corso di Matteo Renzi, che svestiti gli abiti dem, nel frattempo aveva fondato la sua nuova creatura, Italia Viva. In chiave locale lo scontro più grosso è sempre stato sul restyling del Franchi, fortemente sostenuto dal sindaco una volta tramontate le ipotesi di costruzione di un nuovo stadio, osteggiato da Renzi che non ha mai perso occasione per ribadire che i soldi pubblici vanno piuttosto investiti in case, scuole e ospedali. Nardella, in più occasioni, ha incassato. Renzi, com’è nel suo carattere, ha invece più volte cercato lo scontro. Emblematico, in tal senso, l’affondo dell’ex premier sul tema della multe record agli automobilisti fiorentini. "L’idea di una pubblica amministrazione borbonica che fa cassa coi problemi dei cittadini è inaccettabile – tuonò mesi fa Renzi – Non si può governare con un atteggiamento in cui il cittadino, specie in un momento di crisi come questo, fa da bancomat alla città. A Firenze negli ultimi tre mesi c’è stata una esplosione di multe, +620%: questo è solo per far cassa". Chissà se quella foto in Sala di Clemente VII c’è ancora.
E. Baldi