
Mauro Repetto in uno scatto nella redazione de La Nazione di Firenze
di Lorenzo Ottanelli
"Ridersi addosso, rompere il ghiaccio con il pubblico, ballare e cantare insieme. Che poi sono emozioni che vengono dall’anima, un modo per passare una bellissima serata" commenta così, Mauro Repetto lo spettacolo ‘Alla ricerca dell’uomo ragno’ che porta al Teatro Puccini martedì, dopo il successo dello scorso anno. Una storia ambientata nel Medioevo in cui i due ragazzi che presto fonderanno gli 883, lui stesso e Max Pezzali, sono rappresentati come menestrelli.
Repetto, gli 883 sono nati e si sono sciolti negli anni Novanta, eppure ancora oggi emozionano, anche i più giovani. Perché? "Incantano perché raccontano quello che eravamo, le battute, le parole spese al bar. Temi che riguardano tante generazioni: fino all’arrivo dei social… e anche dopo perché la voglia di fuggire dalla provincia e di fare baldoria è sempre la stessa".
La provincia è Pavia, da cui siete realmente fuggiti. Oggi com’è? "La vedo sempre medievale, sia dal punto di vista architettonico che umano. Un po’ antica e ovattata. La voglia di scappare quando si è giovani c’è, ma poi si capisce quanto è bella".
Un sogno italiano, in cui porta in scena ‘Alla ricerca dell’uomo ragno’, per la seconda volta al Puccini. "Dopo un anno la voglia di raccontare chi siamo stati e quello che ancora c’è, è sempre al massimo. Peter Parker ha tutti quei superpoteri, dalle ragnatele al sapersi arrampicare, ma fa il suo ‘lavoro’ con il sorriso. Noi abbiamo cantato ‘Hanno ucciso l’uomo ragno’ ma nelle copertine c’era scritto ‘continua’. Forse perché non si può uccidere davvero".
E per raccontare gli 883 oggi c’è anche una serie. Come l’ha trovata? "Sono contento perché permette di scoprire come eravamo, come ero. Certo, è romanzata, ma la spina dorsale è quella, c’era quella genialità e quel talento, che è bene far scoprire".
Poi il successo, al quale è sfuggito nel momento di picco. Come l’ha vissuto? "Non è stato difficile. Avevo una chimera, una donna, che rappresentava il sogno americano. Brandy non sono mai riuscita ad averla, ma ho avuto il mio american dream tra New York e Miami…".
Un american dream che si è trasformato in french dream? "Sì, in un sogno parigino. Parigi è la città in cui vivo. Qui se cadi puoi sempre rialzarti, puoi stare al centro della classifica. In America, invece, qualche osso te lo spacchi".
Una Parigi in cui lavora come dirigente di Disney. Qual è la favola che più la rappresenta? "‘I guardiani della galassia’ dell’universo Marvel. Gamora è sempre bellissima, la storia è molto pop-rock. Ed è Marvel, proprio come ‘Spiderman’".
Che rapporto ha con ? " sta tra la maestosità e il gioiello. C’è qualcosa di grandissimo e di confidenziale in città, non ha niente da invidiare a Parigi".
Tornando alla musica, cosa ascolta? "Molto rap francese. Ma sento sempre un’energia pop e rock, che vorrei si unisse al rap. Un legame che oggi manca nel mondo mainstream".
Progetti futuri? "Vorrei scrivere una serie e uno spettacolo teatrale con Maurizio Colombi su due fratelli chignon, tra dj e ballerine cubiste, per parlare di dance del passato e robe pacchiane che fanno ridere".