Mio caro Carini,
Appena giunto a Messina adempio la promessa che vi ho fatta, e vi do precisi ragguagli sulla resa del forte di Milazzo e sulla presa di Messina. Facemmo il nostro viaggio in trent’ore – pervenuti a Milazzo, era già notte oscura. – Mandammo la nostra lancia a dimandare notizie del general Garibaldi – egli era partito da due giorni per Messina. Questa circostanza ci fece perdere due ore, nel qual tempo si fece calma.
Verso le due del mattino eravamo appena in cammino, allorché vedemmo comparire alla punta del capo di Baisicolmo i fanali di un battello a vapore. Il timoniere additolli al Secondo – e siccome un arrembaggio non sembrava doversi temere nell’immenso golfo di Milazzo, e non ci occupammo più del battello a vapore.
C’inoltravamo lentamente coi nostri due fanali accesi: la notte era buia. D’un tratto, una massa nera involta in una nube di fumo ci appare a cinquanta metri – descrive un semicerchio intorno a noi, passando alla nostra prua – poi gira di bordo e ritorna a dritta su di noi dal lato di sopravvento.
Il battello a vapore! il battello a vapore! grida il marinaio di guardia.
All’orza! all’orza! grida il Secondo a sua volta.
La manovra si eseguisce, ma pria che fosse compita il battello a vapore era sopra di noi. Ciò che avvenne in questo momento, mio caro Carini, è indescrivibile.
La goletta fu sollevata come piume, uno schricchiolio si fece sentire, io fui coperto d’acqua – era sdraiato sul ponte – il timoniere fu rovesciato – il Secondo gettato cinque o sei piedi in aria, il nostro pennone di fortuna spezzato, la nostra asta di bompresso piegata come canna, squarciata la nostra vela maestra, la poppa della goletta s’immerse nel mare, e si rialzò colante d’acqua – il battello a vapore credette averci colato a fondo e continuò il suo cammino. Era un piccolo scherzo napoletano – la nostra goletta era stata riconosciuta per aver preso parte nell’affare di Milazzo, si volea semplicissimamente affondarci. Noi non annegammo, grazie a Dio, e siamo più che mai decisi a continuare la nostra guerra al re di Napoli.
Fino a giorno ci occupammo a riparare le nostre avarie. Molti oggetti erano spezzati a bordo, ma
nulla di essenziale, di vitale – La nostra vela a cappello supplì la vela di maestra – avevamo fiocchi e vele di fortuna di riserva.
La calma continuava; fu verso mezzogiorno, che una leggera brezza e la corrente ci portarono verso lo Stretto. Giunti al faro, un magnifico spettacolo colpì i nostri occhi: una batteria di tre pezzi di cannone s’innalzava, e contai 168 battelli tutti pronti, ciascuno de’ quali poteva contenere venti uomini: sono battelli da sbarco: il numero deve esser quadruplo.
A misura che ci avvicinavamo a Messina, potevamo vedere le sentinelle napolitane a passeggiare sull’alto dei bastioni del forte dalla parte di mare – su quello spazio di piano, che dietro la cittadella si stende a fior d’acqua, si osservavano le evoluzioni della fanteria e della cavalleria. I Napoletani, voi lo sapete, manovrano a meraviglia – Essi hanno manovrato cosi bene, che giunsero a rinchiudersi nella cittadella di Messina o in quella di Siracusa.
Giunti a Messina, la nostra prima visita fu per Garibaldi. Ecco le notizie date non mica da lui – ma potete ritenerle così officiali come se egli stesso le avesse date.
L’indomani della nostra partenza da Milazzo il Protés vapore ad elica francese, capitano Salvi, ancorava in rada, e portava viveri all’esercito napoletano. Il suo capitano ignorava affatto il combattimento di Milazzo e il blocco del forte.
Allo schifo che venne a parlamentare al suo bordo – egli risponde di essere a disposizione del comandante di Milazzo con tutto il suo carico; ma a sua grande sorpresa gli venne risposto che ivi comandava Garibaldi.
Com’è chiaro, la posizione delle cose si complicava. La bandiera francese gli era nondimeno di salvaguardia di maniera che dimora in rada in aspettazione degli eventi. (...)
Gradite i miei complimenti.
A. DUMAS