MONICA PIERACCINI
Cronaca

Rifle, cade un altro mito del made in Florence

Oltre sessanta anni di storia: il boom degli anni Ottanta e la crisi recente. E intanto chiude la Edison e Cavalli trasloca a Milano

Assemblea di lavoratori all’interno dello stabilimento Rifle di Barberino negli anni '90

Firenze, 3 ottobre 2020 - Una bella storia imprenditoriale, una grande azienda, un patrimonio che rischia di andare disperso. La Rifle, azienda fondata nel 1958 dai fratelli Giulio e Fiorenzo Fratini, è fallita. La crisi da pandemia ha dato il colpo di grazia a un’impresa che soffriva da tempo. Sono lontani i tempi in cui vendeva più di 100mila jeans in Europa.

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Solo Levi’s ha fatto di meglio. Il jeans italiano Rifle è stato il primo al mondo ad entrare, nel 1968, in un paese comunista, la Cecoslovacchia. Il marchio (Rifle vuol dire carabina in inglese) prende il nome dalla scritta che leggevano i fratelli Fratini sulle casse di legno che trovavano sui pontili delle navi con le quali viaggiavano tra l’Italia e gli Stati Uniti dove andavano a reperire il tessuto denim, quello appunto con il quale cucire i blue jeans. Negli anni Ottanta il marchio ha successo anche in Russia e poi in tutta Europa.

Nel 2017 subentra in azienda un fondo di investimento estero, per i lavoratori inizia la solidarietà. Il 18 maggio di quest’anno Rifle ha presentato domanda per il concordato in continuità, che avrebbe dovuto essere accompagnato nei 120 giorni successivi dalla presentazione di un piano di investimenti e di salvaguardia occupazionale. Ma il piano non è mai stato presentato e i 96 lavoratori, di cui circa 42 in Toscana, sono finiti in cassa integrazione. Il tribunale di Firenze ha dichiarato il fallimento e ha disposto l’esercizio provvisorio per 45 giorni.

«Abbiamo allertato le istituzioni sulla vicenda, che sarebbe riduttivo addebitare solo alla pandemia", spiegano Alessandro Lippi della Filctem Cgil e Gianluca Valacchi della Femca Cisl. "Cercheremo anche di verificare tutte le possibilità di salvaguardia occupazionale qualora ci fossero manifestazioni di interesse per il marchio e quindi per l’attività aziendale".

La proposta dei sindacati è infatti quella di accordare ai lavoratori la cassa integrazione straordinaria. Quella con causale ‘emergenza Covid-19’ copre i lavoratori fino al 14 novembre. Aggiungendo la straordinaria, si arriverebbe al 13 novembre 2021. "Un lasso di tempo che darebbe la possibilità ai lavoratori di guardarsi attorno e ricollocarsi eventualmente altrove – sottolinea Lippi – e di trovare qualcuno interessato a rilevare marchio e dipendenti".

Sul territorio fiorentino Rifle non è l’unica crisi conclamata. Nel mondo della moda, Cavalli ha chiuso la sede dell’Osmannoro e ha trasferito tutto a Milano. "L’Europa è ferma. Ha ripreso un po’ l’economia cinese, ma non basta per risollevare il settore tessile-moda, dove le richieste di cassa integrazione aumentano – sottolinea Alessandro Lippi – Sono aumentate in modo esponenziale anche le contestazioni disciplinari. Essendoci il blocco dei licenziamenti, molte aziende cercano di ridurre gli organici ricorrendo al licenziamento disciplinare. Altri non confermano i contratti a tempo determinato. In tanti stanno perdendo i posti di lavoro, ma sono numeri che non compaiono nelle statistiche".

E le aziende in crisi sono tante, anche in altri settori. A Barberino di Mugello è probabilmente destinata alla chiusura la Edison giocattoli, nel settore del commercio ci sono 35 lavoratori che rischiano di perdere il posto di lavoro per la paventata chiusura del Gran Caffè San Marco a Firenze.

Nel settore turistico, 15 posti in bilico all’hotel La Vedetta, il cui gestore non riesce più a sostenere l’affitto da 44mila euro al mese. Altri 45 licenziamenti alla cooperativa Iris, che in subappalto offre servizi di facchinaggio e pulizie a cinque importanti alberghi di Firenze. Incerto il futuro per 70 lavoratori della cooperativa Vega, società di pulizie in liquidazione, che ha aperto la procedura di mobilità a seguito della perdita di appalti, mentre più complicata e slegata alla crisi da pandemia, ma che riguarda ben 300 lavoratori su Firenze, è la vertenza che riguarda Inso e la controllata Sof, operanti nel settore della progettazione e costruzione di infrastrutture sanitarie, sulle quali si sono riversati i problemi del gruppo Condotte d’Acqua.