
Riganò in maglia viola
Firenze, 27 aprile 2025 – È il 10 settembre del 2002. L’uscita al casello di Arezzo è imballata di sciarpe e fanali. Da un finestrino sbuca uno striscione che è sintesi chirurgica di un popolo innamorato e testardo: “Accident’a ogni’hosa“, catabasi del M’illumino d’immenso ungarettiano. C’è un fiume di tifosi al seguito della Fiorentina – cioè del suo provvisorio anagramma, la Florentia Viola – che neanche tre anni prima aveva spezzato le reni all’Arsenal a Wembley. Quel giorno l’attende la gagliarda Sangiovannese per la prima dell’inferno C2, il polveraio dove Firenze s’è cacciata con il precipizio del fallimento cecchigoriano. Per la cronaca segnò il gol del pari Masitto, privo di tre dita di una mano, simbolo di quella squdra lesta e operaia. Da San Siro al Luzi di Gualdo Tadino fu un attimo. Ma il popolo viola, orfano del suo arcangelo Gabriel, ancora non aveva ben chiaro che da Taranto aveva appena risalito la penisola il suo salvatore. Christian Riganò, 28 anni, ex muratore, una faina scapigliata e implacabile sotto porta, affamato di gol come Firenze lo era di rinascita. Riportò la città dove le spettava. Oggi ha 51 anni ed è il solito ragazzone.
Bomber, il primo contatto?
“Una telefonata in estate. “Pronto Christian, sono Giovanni Galli“. “Sì, vabbè ciao“, risposi io”.
Non ci credette?
“Pensai a uno scherzo. Galli, campione d’Europa con il Milan, uno che aveva giocato con Maradona nel Napoli, che prende e chiama me...”.
E invece era lui davvero.
“Sì. Mi chiese se fossi interessato a venire a Firenze. Non ci pensai un attimo. Nonostante tutti mi dicessero che ero pazzo”.
Perché?
“Mi dicevano “Hai fatto 27 gol in C1 e ora vai in C2“. Io feci un ragionamento diverso. E’ Firenze, c’è un imprenditore serio, un progetto di rinascita. Ho 28 anni e magari se mi va bene in tre arrivo in A. Ne bastarono due”.
Fu amore a prima vista?
“Sto qua da 23 anni. Non mi sono mosso mai, abito dietro la curva Fiesole. È una città a misura d’uomo. Meravigliosa, piccola, vivace. Più di così...”.
Non le manca il mare della sua Sicilia?
“Ci torno ogni estate. Un mese, nella mia Lipari. E poi guardi che lo sapevo anche nel 2002 che a Firenze non c’era il mare”.
Ma resta una città particolare.
“Ricordo che arrivai in ritiro il 31 agosto. C’era il mitico Mario Ciuffi che mi mise subito la sciarpa viola al collo e mi chiese: “Sei gobbo?“. “No“ risposi. E si cominciò”.
Un rito iniziatico. E il primo impatto con la società?
“Entrai nella vecchia sede dentro lo stadio. Non c’era più niente, solo un mucchio di roba accatastata. Mi ricordo anche una cattedra da professore. Mah... Neanche le maglie e i palloni”.
Però c’era la passione di una città intera.
“Debuttai col Castel di Sangro. Trentamila spettatori al Franchi. Io doppietta. Pazzesco”.
Per lei far gol in quella C2 sembrava facilissimo...
“Mica è vero. Ogni categoria è difficile se non l’affronti con lo spirito giusto. Anche la Promozione”.
E’ vero che Batistuta le chiese di promettergli che avrebbe riportato la Fiorentina in A?
“Sì. Mi disse “Bomber, mi raccomando“. Figuriamoci, lui che chiama me bomber...”.
E’ stato il più grande?
“Senza dubbio. Poi a Firenze dopo Batigol ci sono stati Riga-gol, Gila-gol, Toni-gol... Ma quello che faceva lui non lo ha fatto più nessuno. Segnava di forza, di testa, in progressione”.
Le piace il calcio di oggi?
“Mi piaceva più una volta. Poi ogni anno se ne inventano una: e non c’è più il centravanti, e non c’è più il trequartista... Anche se fare gol era molto più difficile ai miei tempi. Oggi il Var vede tutto. Una volta gli attaccanti prendevano certe botte”.
Il gol più bello?
“In rovesciata contro la Reggina nel derby quando ero a Messina. Ma uno è felice anche se fa gol di naso”.
Appese le scarpette al chiodo si è rimesso a lavorare. Fa il muratore.
“Io non ho mai smesso di lavorare. Il muratore lo facevo già a sedici anni, a undici invece aiutavo mio zio che aveva una pasticceria a Lipari. Era bellissima”.
A che ora si alza la mattina?
“Alle sei e mezzo. E alle otto si comincia”.
Le piace ancora?
“Certo, lo so fare. Mica potevo mettermi a fare il cameriere: mi sarebbe caduto tutto subito”.
Cosa le ha insegnato questo mestiere?
“A guadagnarmi il pane onestamente. E poi a dare il giusto valore ai soldi. Ho giocato poco in serie A, ma quando ti arrivano 20-30mila euro al mese sai valutare meglio tutto”.
C’è un’immagine che più di tutte resta: quell’abbraccio commosso con Mondonico per il ritorno in serie A alla fine della gara con il Perugia.
“Il ’Mondo’... un uomo vero, anticonformista. Uno che prima della partita in pullman metteva ’Gli spari sopra’ di Vasco Rossi”.
Un personaggio.
“Ma dove lo ritrovi oggi un allenatore che quando vai in trasferta ad Avellino ti porta a visitare la reggia di Caserta, a Como ti offre lo spritz e il mercoledì nella lavanderia dello stadio invita tutti, magazziniere compreso, a far merenda con formaggio e salame...”.
Il giocatore a cui è rimasto più legato?
“Andrea Ivan, un amico vero”.
E il più carogna?
“Mio fratello (ride ndr). Lo scriva. Massimo Riganò. Quando da ragazzi giocavamo insieme non mi passava mai la palla. Se lo faceva era perché aveva capito che non poteva segnare”.