REDAZIONE FIRENZE

Rinascere alle Piagge. L’arcivescovo Gherardo: "Il più grande di tutti è chi si fa ultimo e servo"

Nella messa con la comunità di base l’importanza della misericordia. E in Cattedrale nella notte il pensiero ai morti sul lavoro e alle crisi.

Nella messa con la comunità di base l’importanza della misericordia. E in Cattedrale nella notte il pensiero ai morti sul lavoro e alle crisi.

Nella messa con la comunità di base l’importanza della misericordia. E in Cattedrale nella notte il pensiero ai morti sul lavoro e alle crisi.

Il Papa che apre la porta santa del Giubileo nel carcere di Rebibbia lasciandosi andare a frasi come "Qui non ci sono pesci grossi" e l’arcivescovo di Firenze Gherardo Gambelli, che celebra la messa della mattina di Natale, indossando la stola con i colori della pace dono di padre Alex Zanotelli a don Alessandro Santoro, alla Comunità di base delle Piagge, che è al tempo stesso chiesa, scuola, centro sociale e biblioteca, sono segni di una Festa davvero in uscita. È la partecipazione di massa, semmai, che è mancata, pur restando forte il valore simbolico del gesto. Del resto, lo ha detto San Giovanni Paolo II "Dobbiamo difendere la verità, anche se tornassimo a essere dodici un’altra volta". Il senso di gratitudine del vescovo Gherardo, arrivato da solo con la sua Panda, nei confronti di don Santoro è grande: "Desidero ringraziare tutti i membri della comunità per il loro impegno nei confronti dei poveri e degli esclusi, perché con il loro esempio e le loro parole ci ricordano la verità del Vangelo: il più grande è colui che si fa ultimo e servo di tutti. - ha detto - Saremo tutti giudicati sulle opere di misericordia". Tra i presenti la sindaca Sara Funaro e il presidente della Toscana Eugenio Giani. Nella sua omelia monsignor Gambelli ha anche parlato del Giubileo "che apriremo a livello diocesano domenica prossima": "È una bella occasione - ha detto - per lasciarci trasformare dalla grazia di Dio. Non c’è libertà né uguaglianza senza fraternità, per questo uno degli aspetti fondamentali del Giubileo biblico era la remissione dei debiti. Chi ha subito un torto, certamente deve essere tutelato nella sua ricerca di giustizia, ma bisogna imparare alla fine a saper perdonare, se vogliamo davvero costruire una società solida e sicura".

Lavoro precario quanto pericoloso, casa, carceri disumane e ripudio della guerra i temi toccati nell’omelia della notte di Natale in Duomo: "Preoccupano tutte quelle situazioni in cui il futuro sembra compromesso. Se non ci sono interventi concertati ed efficaci per accompagnare la fase di crisi che coinvolge decine di aziende e per disegnare nuovi scenari, come appare necessario per il comparto della pelletteria e della moda, nei prossimi mesi aziende e lavoratori saranno messi a dura prova. Sono vicino a tutte le persone che hanno perso il lavoro, sono state licenziate, sono senza stipendio e vivono il grande timore di un domani incerto per loro e per le loro famiglie". L’arcivescovo ha poi parlato dei "due tragici incidenti che hanno ferito la città metropolitana, quello nel cantiere Esselunga del febbraio scorso e quello al deposito Eni di Calenzano pochi giorni fa": "Ci dicono che non possiamo mai abbassare la guardia quando si tratta della sicurezza del lavoro: è necessaria una diffusa mobilitazione delle coscienze e una assunzione di responsabilità collettiva".

"I tempi oscuri che caratterizzano questo terzo Natale consecutivo di guerra ci interrogano profondamente" ha detto Gambelli che ha poi aggiunto: "Come sarebbe bello se quel ripudio della guerra di cui ci parla l’articolo 11 della Costituzione italiana si traducesse in gesti concreti per eliminare le ingiustizie sempre all’origine di contese e violenza". "Gli incidenti sul lavoro, il problema abitativo, la disoccupazione, la situazione del carcere - ha proseguito - provocano in noi una giusta indignazione, ma poi ci accorgiamo che le nostre risposte sono deboli e incerte. La montagna di tenerezza è quel dono di cui abbiamo bisogno di essere avvolti prima di tutto noi. Solo allora potremo davvero ripudiare la guerra, rinnegare l’empietà e collaborare efficacemente alla trasformazione del mondo".

Duccio Moschella