Firenze, 22 maggio 2020 - «Scusi, scusi, dove va lei? Il gel per le mani". Il tempo di varcare la soglia dell’Affe di Bacco, ristorantone con duecento coperti in via Giampaolo Orsini, a Ricorboli, e ci sventolano subito il cartellino giallo sotto il naso. Sorriso stropicciato di chi ha fatto un’involontaria marachella, un passo indietro, pollice sul dispenser dell’igienizzante che troneggia su un tavolino (come abbiamo fatto non vederlo prima?) e le mani scivolano l’una dentro l’altra. Siamo qui per una cena, la prima, in Fase 2. Insomma siam qui per "vedere di nascosto l’effetto che fa".
Le mani sono a posto. Ora possiamo andare a sederci nella stanza grande. Ci tocca un tavolino da due, i clienti più vicini sono almeno a dieci metri di distanza. "Riesco a far sedere al massimo 90 persone, meno della metà rispetto a marzo" dice Francesco, il titolare. Via la mascherina finalmente.
Con un gomito facciamo cadere una busta di carta. "Gliene porto un’altra subito" dice gentilissima Amal, una delle cameriere insieme alla svelta Sara. "No, non importa. Ma cos’è?". "Come non importa? E’ il contenitore per la mascherina". Pensa te. Ecco il menu. È plastificato, lo ricordavamo diverso. "Ma non era di carta?". "Ma la carta assorbe, li abbiamo cambiati tutti" sorride Francesco.
Un occhio ai prezzi, non sembrano esserci ritocchi. "Assolutamente, i prezzi sono rimasti invariati. Non è certo questo il momento di alzarli", puntualizza il titolare. "Quando arrivano i clienti, ci chiedono ‘Come si fa a mangiare?’ e noi gli spieghiamo che, fatta eccezione per qualche accortezza è tutto come prima" sorride Sara.
Nel locale una ventina di persone, Firenze ha ancora il freno a mano tirato. L’odore del disinfettante sulle mani mentre scorriamo la lista con le dita – paccheri alla norma, riso al nero di seppia, bistecca, fagioli all’uccelletto – all’inizio fa un po’ strano ma è tutto sommato gradevole. Scegliamo, ordiniamo. La cameriera ci raggiunge e prende appunti sorridente ma ben lontana dal tavolo.
Tagliata di manzo gorgonzola e radicchio, una zuppa di pesce per il nostro fotografo, mezzo litro di bianco sfuso e una minerale. Non gassata.
In automatico, prima dell’arrivo dei piatti, viene da rilavarsi le mani. "Il bagno è in fondo a destra" (certe cose non cambiano mai). Ci alziamo, due passi e (secondo) richiamo gentile. "Alt, alt. Si metta la mascherina". Stasera non ne imbrocchiamo una. Sapone, di nuovo gel, poi phon per asciugare le mani. Si mangia, si chiacchiera, le voci rimbombano quasi ci fosse l’eco.
Ma è tutto piacevole, passati i primi minuti chi si ricorda più di quella carogna del Covid 19. Due caffè e ci avviamo alla cassa. "Alt", c’è una nastro giallo attaccato per terra. Più in là di lì non si va. Stavolta ce ne accorgiamo da soli (con un altro errore così marchiano avrebbero pensato che tanto vispi poi non siamo). Per pagare si allunga il bancomat, il titolare allunga a sua volta il Pos. Digitiamo, salutiamo e ci avviamo all’uscita. "Un attimo". "Sì". L’ammazzacaffè è offerto.
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