FRANCESCO
Cronaca

Sant’Apollonia. Annunciata la rinascita

Il complesso di Sant'Apollonia, monastero fondato nel 1339, è stato oggetto di restauro. Utilizzato per varie funzioni, ha segnato la vita degli studenti universitari fiorentini.

Gurrieri

È di questi giorni l’attesa notizia del restauro del complesso di Sant’Apollonia. Fondato dalla badessa Cecilia Donati nel 1339 come monastero per le benedettine, fu ampliato nel 1449 col chiostro, diventando il più grande monastero all’interno delle mura. La soppressione napoleonica e quella unitaria (1808 e 1866) non lo risparmiarono, così che una parte è rimasta demaniale (il Cenacolo di Andrea del Castagno, cioè il refettorio) ed altra parte allo Stato e in concessione perpetua all’Università di Firenze. Codesta complessa suddivisione spiega i tormenti funzionali che ne hanno caratterizzato l’uso. La mensa sottufficiali, la mensa studentesca, la sala da ballo, le sedi delle organizzazioni studentesche, la sala riunioni (ex chiesa), la Mediateca regionale (dal 1985), le sedi di servizi agli studenti e altro. Insomma, Sant’Apollonia, nell’immaginario universitario, per gestori e fruitori, è stato per molto tempo, un nobile magazzino dove allocare funzioni scomode e tener lontano gli studenti. Di Sant’Apollonia, ogni studente universitario fiorentino ha i suoi ricordi. Io ho i miei e li ripercorro con nostalgia. Il primo, da matricola: l’incontro con Giorgio Morales, allora presidente dell’Oruf (Organismo rappresentativo dell’Università di Firenze) per chiedere la tessera del Cus (Centro universitario sportivo); un incontro cordiale e garbato che mi rimase impresso e che gli avrei ricordato alcuni anni dopo, durante il suo impegno di sindaco. Qualche anno dopo Sant’Apollonia fu sede di riunioni di redazione della rivista “L’Arnolfo”, dove “facevamo buio” con Franco Di Pietro, Fanelli, Ponis; poi ancora per alcuni seminari autorganizzati dalle tre liste di area, dove ci presentammo uniti alle elezioni studentesche. Poi ancora le assemblee degli anni ‘70 dove cominciò l’inesorabile degrado, le cui tracce, incredibilmente, hanno resistito fino ad oggi.