
Gli Omini, ovvero Francesco Rotelli, Luca e Giulia Zacchini
Le voci dei bambini della scuola Montagnola si fanno spettacolo in ‘Sbucci all’Isolotto’, la pièce per famiglie della compagnia teatrale Omini che andrà in scena domenica alle 16,30 e lunedì alle 10 al Teatro Cantiere Florida per il ’Materia Prima Festival’. Gli sbucci sono i primi ostacoli che i bambini trovano, i primi limiti e a quelle cicatrici ognuno reagisce in modo diverso. Per questo gli Omini, formati da Francesco Rotelli, Luca e Giulia Zacchini, sono andati nelle scuole per registrare gli sbucci fisici e metaforici.
Cos’è ‘Sbucci’? "È un progetto che cambia forma di volta in volta. Ha una struttura comune, con temi ricorrenti e altri invece che cambiano, a seconda dei bambini. Alla Montagnola abbiamo sperimentato una classe in cui tutti si erano coalizzati contro un compagno. Quando siamo tornati la seconda volta tutto era cambiato e il bambino era diventato amico degli altri. Era bastato restare in ascolto. Cerchiamo, infatti, di far uscire le problematiche che si trovano dentro la classe e fuori".
Com’è nato il progetto? "Dopo anni di ricerca in mezzo agli adulti abbiamo sentito il bisogno di immergerci tra i bambini. Abbiamo iniziato due anni fa, partendo con Prato e poi con Bologna. Gli ‘Sbucci’ fiorentini sono il terzo progetto e ce ne saranno altri".
Quanto è importante sbucciarsi da piccoli? "È tanto importante quanto inevitabile. La cosa più importante è imparare a cadere. E gli sbucci ci fanno riflettere su tante cose".
Per esempio? "Sulle assenze, in particolare la figura paterna. A Firenze, però, abbiamo avuto un ’team babbi’. E poi c’è un tema di richiesta di attenzione. I bambini fanno di tutto per farsi vedere dai genitori, che stanno troppo allo smartphone, cosa che conduce poi anche i piccoli a stare davanti ai tablet e ai pc".
C’è un problema di comunicazione tra gli adulti? "Sì, lo abbiamo notato negli anni. I bambini ne sono consapevoli e tra loro sono più solidali. Poi, certo, sono anche teppisti tra di loro. Tra gli adulti bisogna dire che nel momento in cui ci si pone come ascoltatori le persone iniziano a raccontare, si sente proprio la necessità di un interlocutore".
Com’è stato lavorare con i bambini del Montagnola? "Sono vivaci e gli insegnanti hanno tanta passione. Abbiamo avuto un campione di cinque classi ed erano molto curiosi. È stato divertente sentire bambini che raccontano con orgoglio alcune conquiste di indipendenza come andare da soli sul viale o al parco. Per il quartiere è molto rassicurante".
In scena con voi ci sono anche Bobby e i Bobbies. Chi sono? "Quando incontriamo i bambini non riusciamo mai a sentire le voci di tutti e rimangono tante mani alzate. Allora mettiamo alcune scatole a forma di testa con una feritoia per inserire le lettere e che diventano spunto per quando torniamo una seconda volta. Per questo in scena c’è Bobby, è lui, la scatola, in versione gigante, che riporta ciò che i Bobbies hanno raccolto".