di Stefano Brogioni
FIRENZE
"Sono stato avvertito all’estero della presenza di questa scritta che sembra destinata alla mia persona. E che non appare casuale proprio dopo l’uscita della notizia della riapertura delle indagini e della costituzione di un pool, segno che qualcosa sta cambiando in procura".
Dottor Giuttari, potrebbe essere una coincidenza?
"No. E’ l’unica scritta in tutta la strada. L’unica, proprio in corrispondenza della mia abitazione. Fatta con precisione e a colori. Non ci ho dormito tutta la notte. Poi mi sono consultato con Massimo Introvigne, uno dei massimi esperti nazionale. Io pensavo fossero scritte arabe, lui mi ha spiegato che non ha trovato un significato specifico, se non un’allusione alle fiamme".
Una minaccia?
"Non ha voluto dire una minaccia, ma lo dico io. Ti faremo bruciare come hanno bruciato Milva Malatesta e Francesco Vinci, omicidi paralleli ma collegati ai delitti del mostro".
Lei oggi però non indaga più.
"Appunto. Lo deve dire chiaro. Che mi lasciassero in pace. Vivo all’estero, faccio lo scrittore e seguo gli sviluppi cinematografici dei miei libri. Non faccio più le indagini, quello che dovevo dire l’ho scritto nel mio ultimo libro ‘I mostri di Firenze e il patto segreto’. Era un dovere verso le vittime e loro famiglie, a cui ho dedicato l’opera".
Può essere un suggerimento per chi indaga, oggi?
"Il pm Ornella Galeotti è bravissima, si è formata con Chelazzi, ha fatto il processo Forteto ed è andata dritta, fedele al suo lavoro allo Stato al suo servizio, incurante delle interferenze che avrà certamente avuto".
Da dove dovrebbe iniziare?
"Il punto cruciale è una donna, si chiama Marisa di Massa. L’avevo intercettata e perquisita, quando il mio rapporto con la procura si deteriorò. Lotti la conosceva, la introdusse in un determinato ambiente di festini in ville, incontri con minorenni e personaggi importanti. Lotti ha detto solo quello che non poteva tacere, ma ha avuto paura di rivelare altri dettagli. Lui non solo individuava le coppie ma era collegato con questi minorenni. Solo che quando la procura di Perugia doveva sentirlo proprio su questi punti egli morì. E anche la sua morte è molto nebulosa".
E’ il patto?
"C’è stato un patto segreto per incastrare Pacciani e tenere fuori i sardi. Una parte della massoneria di Perugia non voleva che fosse rivelata la loro indagine segreta su Narducci. Questa è una vicenda a cui se ne intrecciano altre. Il sequestro De Megni: lui si oppose al patto e gli hanno sequestrato il nipote. Ed ecco allora che i sardi diedero il nome di Pacciani: vi diamo il mostro e ci lasciate in pace. E’ tutto riscontrato. Nella mia informativa del 3 dicembre 2001 spiegai che la cartuccia dell’orto di Pacciani era stata messa per incastrarlo. Indicai anche da chi".
E perché non è andato avanti?
"Perché di 15 i deleghe d’indagine che richiedevo, me ne diedero, dopo mesi, soltanto una: quella sulle frequentazioni di Narducci nel fiorentino, su cui per altro stava già indagando Perugia. Canessa me lo anticipò la sera prima al telefono e la mattina dopo trovai le quattro gomme della macchina parcheggiata dalla polfer a Porta al Prato squarciate. E’ non fu una coincidenza. E non è l’unica. Fecero un blitz al Magnifico, mi fecero intercettazioni abusive per ascoltare quello che stavamo facendo. Tutto documentato e denunciato. Solo una volta, non denunciai".
Cosa?
"Nel gennaio 2008, mi arrivò a casa, la stessa casa di ora, una lettera con una riga dattiloscritta. ‘Ogni giorno che passa mi avvicino sempre di più a lei’. Nel giugno precedente avevano riesumato la salma del padre di Luciano Malatesta e avevano accertato che c’erano fratture incompatibili con il suicidio. Temevano che potessi inserirmi nell’attività e allora mi mandarono questa minaccia. Che non denunciai perché avrei dovuto esporla a chi mi aveva appena estromesso dalla indagini".