GIOVANNI
Cronaca

Se il leader è forte ma i partiti no

Pallanti Nel 1987 ebbi modo di parlare approfonditamente con Arnaldo Forlani e Giulio Andreotti. Prima o dopo un comizio importante, era...

Pallanti

Nel 1987 ebbi modo di parlare approfonditamente con Arnaldo Forlani e Giulio Andreotti. Prima o dopo un comizio importante, era facile che si scambiassero delle opinioni tra poche persone. La cosa che mi colpì, e che ancora mi torna in mente, è l’avversione di questi due leader al sistema presidenziale. Io ero allora positivamente interessato sulla necessità di superare lo stallo e le lungaggini delle decisioni parlamentari, con la nascita di una Repubblica presidenziale, o semipresidenziale alla francese. Tutti e due questi importanti uomini politici, di caratura internazionale, mi dicevano che sbagliavo, e facevano alcuni esempi.

Forlani e Andreotti erano stati già allora presidenti del Consiglio e ministri degli Esteri, e guardavano al panorama internazionale con un’acutezza oggi pressoché ignota agli attuali governanti. Forlani diceva che nei sistemi presidenziali, chi si candidava per la massima carica dello Stato, sceglieva i propri collaboratori in base al principio "bravi ma non più bravi di lui". E questo - diceva - è già un gran risultato per un buon governo presidenziale, ma raramente si realizza. Andreotti mi disse, con una delle sue battute, "la Repubblica presidenziale è sempre legata a un battito di cuore". Gli domandai cosa intendeva, e lui mi rispose: "Se muore il presidente eletto crolla tutta la speranza che era stata riposta nella sua elezione". Tutto ciò mi è venuto in mente dopo aver letto, sul prestigioso giornale "Politico", che Giorgia Meloni è considerata una leader fortissima, la più potente d’Europa. Meno male che non è eletta direttamente nel suo ruolo, come lei vorrebbe con la proposta del premierato, anche se un leader forte con una classe dirigente debole è una scommessa sulla sua durata. Se un leader solo al comando, circondato da dirigenti di poco valore, esce di scena, è un guaio per il buon governo del Paese. E questo è oggi il rischio più grande che corre il governo italiano.