Un tempo qualche fiorentino con la lingua imbevuta in Arno, che non servì solo al Manzoni per sciacquarci i panni ma anche alla nostra gente a forgiare l’ironia dissacrante di queste latitudini, avrebbe sentenziato più o meno così: “Se siamo meno si starà più larghi...“.
Si potrebbe sorridere ma non è il caso perché, come cantava Baglioni, la faccenda è grave. Firenze nel 2042 avrà, secondo le stime dell’Istat poco più di 353mila abitanti, circa diecimila in meno di adesso che già sono quasi centomila in meno (praticamente tutta la popolazione di Pisa) rispetto al 1971, anno in cui la città sfiorò quota 470mila. E se una realtà di dimensioni tutto sommato contenute se paragonata a Roma o a Milano, perde in una settantina d’anni quasi 120mila persone qualche domanda, e pure seria, dovrebbe porsela.
E’ vero, la natalità qui più che altrove, è drasticamente in calo e nei centri urbani il fenomeno è assai più accentuato rispetto alle zone rurali. Può essere senz’altro questo l’aspetto principale per leggere il crollo demografico ma il sospetto che ci sia dell’altro c’è. Ed è un qualcosa che già da tempo stavamo intuendo. Forse la smania di vivere sotto la Torre di Arnolfo sta venendo meno e la città, senz’altro imbruttita da cantieri e gru che spuntano come i funghi di questo autunno, snaturata da un turismo vorace dove la merceria se ne va in silenzio e apre tempo-zero l’ennesimo pizzeria a taglio e, soprattutto, schizzata ai vertici nazionali per i prezzi del mattone, non è più un punto di arrivo ma semmai di partenza. Per andarsene dove? Nell’hinterland, ovviamente. Non nella cintura urbana più immediata che ormai ha prezzi e grane simili a Firenze ma semmai nella dirimpettaia Prato. Sapete la capitale dei tessuti quanti abitanti avrà nel 2042? Ben 209mila. Negli anni ’30 sulle rive del Bisenzio vivevano poco più di 36mila persone.