
Silei e le inquietudini di una Firenze scomparsa
di Ludovica Criscitiello
Una nuova avventura per il commissario Vitaliano Draghi e il "suo vecchio", il geniale contadino Pietro Bensi, con cui fa coppia dal principio nelle indagini per risolvere casi di omicidio. "Gli occhi del serpente" è la terza creatura, dopo "Trappola per volpi" e "La rabbia del lupo", di quella che è ormai una saga dello scrittore, giallista e sociologo Fabrizio Silei, nato a Firenze, vissuto in Chianti e ora da 25 anni a Pescia. Vincitore per bene due volte del premio Andersen con i suoi romanzi che fanno emergere una Firenze scomparsa che tutti amano molto "tra amori, problemi, tragedie, gioie, – dice Silei – un mondo che mi è lievitato in mano e va avanti di libro in libro con tutte le vicende dei singoli. Tra personaggi pratoliniani, piatti tipici toscani, luoghi come la Certosa del Galluzzo, il bordello di madame Saffo e l’Istituto degli Innocenti nella ’Rabbia del lupo’, l’istituto d’arte e Boboli nell’ultimo".
Autore eclettico e versatile che si è distinto per aver sperimentato vari generi, dalla saggistica ai libri illustrati, ai cofanetti creativi laboratoriali, alla narrativa per ragazzi talvolta ispirati proprio dalle sue ricerche sull’identità e la memoria e le testimonianze di chi ha vissuto l’orrore dei lager e delle stragi nazifasciste. Ne "Gli occhi del serpente", edito come gli altri della saga da Giunti, siamo nel 1938 e a Firenze c’è grande attesa per l’arrivo di Hitler. Ed è proprio in questo contesto che Vitaliano e Pietro dovranno scoprire cosa si cela dietro la morte di un professore del regio istituto d’arte di Porta Romana, rimasto schiacciato sotto la statua di Giuditta e Oloferne andata in frantumi.
"Ancora una volta è una storia di padri e di figli che si confrontano, tema che attraversa un po’ tutti i miei libri – continua l’autore – da una parte c’è Vitaliano che si è affezionato fin da piccolo a Pietro, contadino socialista dall’intelligenza prodigiosa che ha insegnato a questo bambino, divenuto poi commissario, a ragionare sulle cose, a guardare il mondo da un’altra prospettiva, a farsi domande". Pietro che si ispira al nonno di Fabrizio Silei e vive nella stessa fattoria del Nero a Tavarnelle.
"Nei miei romanzi faccio i conti anche con il mio passato, la mia memoria familiare, il mondo contadino". Nel mezzo c’è poi il rapporto complicato tra i due, con Vitaliano che cerca l’approvazione di Pietro e che si dispiega lungo tutto l’arco delle indagini a cui partecipano. "Vitaliano lavora per la questura fascista, Pietro è un socialista, spesso i due entrano in contrasto per questo, nonostante permanga l’affetto. Una storia che unisce i tre romanzi e li lega al passato, non solo storico, ma anche personale dell’autore. "Da piccolo – racconta Silei - a 4 anni rimanevo a casa con mia madre. Eravamo una famiglia umile, non c’erano libri almeno fino a quando non ha iniziato a portarli mio fratello, molto più grande di me. E mia madre più che raccontarmi fiabe mi narrava della guerra, del passaggio del fronte, dei nazifascisti. Oggi a 55 anni ho capito che per tutta la vita ho ricercato quelle storie, prima come sociologo poi con scrittore. Sono le mie storie di fantasia costellate da fatti reali e piccoli aneddoti di quel periodo che ha forgiato la nostra identità".
Nei suoi libri l’autore sembra esplorare e mettere a nudo i meccanismi che si celano dietro le discriminazioni di ogni tipo come il razzismo, il bullismo, la violenza di genere. "Semplicemente mi chiedo quali sono le storie che possono disvelare certi meccanismi sempre uguali nella speranza che, così facendo, l’empatia vinca sul pregiudizio e che non si ripetano, che le storie ci cambino e ci rendano in qualche modo migliori".