FRANCESCO
Cronaca

Simbolo di unione. Dovremo curarlo come un figlio

Il nuovo ponte fra l'Albereta e il lungarno Colombo a Firenze: un'opera necessaria per la mobilità cittadina, con un design moderno e promesse di rigenerazione ambientale.

Gurrieri

arrivo di un nuovo ponte in una città va salutato come l’arrivo di un nuovo figlio in famiglia. A condizione che sia desiderato e poi accudito e ben curato.

I ponti ‘uniscono’ e i muri dividono come si è predicato negli ultimi anni.

Questo, fra l’Albereta e il lungarno Colombo, si è reso necessario per l’interezza della rete tramviaria, a suo tempo intuita da Mario Primicerio nel suo originario schema della mobilità fiorentina e avviato alla realtà dalla pertinacia di Giuseppe Matulli (e dal buon senso dei sindaci di Scandicci e del loro consulente Aldo Frangioni).

Il nuovo ponte è lungo 180 metri e largo 17 e mezzo, ha due pontate asimmetriche e quindi con un pilone in alveo. Sono promessi 100 nuovi alberi, a reintegrare le ferite delle preesistenze.

Salutiamo dunque questo nuovo frammento di città e amiamolo come abbiamo fatto per quelli ricostruiti dopo la dissennata distruzione nazista dell’agosto 1944. Certo, ci sono ponti che si amano di più ed altri meno.

Il Ponte Vecchio è una gloria medievale nota in tutto il mondo; il ponte Santa Trinita è amato dagli studiosi del maturo Rinascimento, legato all’Ammannati e ai Parigi, restaurato in modo filologicamente ineccepibile da Riccardo Gizdulich. Forse, meno fortunata la ricostruzione del ponte alle Grazie, che perse definitivamente le sue singolari pile. Né, più tardi, mancò l’ironia, perché il ponte da Verrazzano (su progetto di Leonardo Savioli e Bruno Santi) fu subito ribattezzato - come ricordò Bargellini - il ponte da Terrazzano, per quelle sue terrazze che gli cingono i fianchi.