Firenze, 20 luglio 2024 – Un’ordinanza dopo l’altra, un detenuto alla volta. Il Tribunale di Sorveglianza di Firenze sembra aver deciso di risolvere da solo gli atavici problemi sovrastrutturali di Sollicciano. Senza aspettare l’intervento della politica.
La dottoressa Susanna Raimondo, magistrata dell’ufficio di sorveglianza presieduto dal dottor Marcello Bortolato, ha accolto il reclamo di un altro detenuto. Il secondo in pochi giorni. Anche in questa ordinanza Raimondo scrive nero su bianco che “le condizioni del carcere di Sollicciano possono considerarsi severamente critiche”.
Da diversi punti di vista. Dalla presenza di muffa ai topi, alle cimici. L’8 luglio 2024, pochi giorni fa, la direzione della U.F.C. Igiene Pubblica ha visitato l’infermeria del Reparto Giudiziario su sollecitazione del medico del presidio interno dell’istituto, che aveva comunicato “un importante aumento di segnalazioni di morsicature da cimici nei letti da parte della popolazione detenuta”. Quanto alle penetrazioni d’acqua, la Direzione dell’istituto, nella relazione richiesta dall’ufficio di sorveglianza, “ha fatto pervenire una relazione dell’Ufficio Tecnico dell’istituto che conferma la presenza di infiltrazioni passanti dalla facciata obliqua o dalle coperture, le cui giunzioni sono in precario stato di tenuta”.
Il funzionario dell’Ufficio Tecnico “rileva che tali problematiche necessitano di interventi di manutenzione straordinaria di risanamento e isolamento in facciata, gestiti dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria di Roma e che avevano avuto anche una progettazione esecutiva e un primo avvio. I lavori si sono fermati nel febbraio 2023”.
Anche per questo detenuto, come nell’altro caso raccontato da QN pochi giorni fa, “a causa delle condizioni degradanti dell’istituto, è gravemente compromesso il diritto alla salute ed il diritto ad una detenzione rispettosa del senso di umanità e della propria dignità”.
E anche per questo detenuto vengono dati 60 giorni di tempo all’amministrazione penitenziaria per provvedere all’immediata ripresa degli interventi già programmati e alla adeguata disinfestazione di tutti i locali dell’istituto. In caso contrario, il ristretto – e qui sta il punto – sarà trasferito non in un’altra cella o in un’altra sezione, ma in un altro istituto “ove siano garantite le minime condizioni di vivibilità” che a Sollicciano mancano.
Tuttavia “chi continua a non sembrare considerare ‘severamente critiche’ le condizioni di Sollicciano”, dice a QN-La Nazione il professor Emilio Santoro de L’Altro Diritto, è “l’amministrazione penitenziaria, che a fronte di una magistratura di sorveglianza che ordina di trasferire i detenuti in altro carcere se in due mesi Sollicciano non viene risanato, continua a inserire nel carcere fiorentino non solo i nuovi arrestati, ma addirittura continua a trasferire a Sollicciano detenuti da altre carceri, in totale spregio del suo dovere di garantire condizioni di detenzione dignitose”.
C’è più di un problema, insomma. Uno riguarda l’amministrazione penitenziaria, l’altro riguarda il fatto che non tutti i magistrati sono uguali, come osserva la Camera Penale di Firenze: “Firenze ha avuto la fortuna di poter apprezzare per lunghissimo tempo il lavoro, le opere e la lungimiranza del dottor Alessandro Margara al quale da oltre un anno è titolata l’aula del Palazzo di Giustizia dove si svolgono le udienze del Tribunale e dell’Ufficio di Sorveglianza”. Purtroppo, “dobbiamo constatare che questo ricordo viene, talvolta, dimenticato dall’opera di chi, probabilmente, non riesce a trarre lumi dai predecessori.
Il 3 luglio 2024 infatti il dottor Caretto, magistrato di sorveglianza” ha risposto alle richieste di un detenuto “sostenendo che ‘la fornitura di acqua calda all’interno della cella non sia un diritto essenziale garantito al detenuto ma una fornitura che si può pretendere solo in strutture alberghiere’. Se non avessimo letto tutto ciò in un provvedimento firmato da un magistrato di sorveglianza avremmo pensato che si fosse trattato del solito refrain di qualche sostenitore del ‘buttiamo via le chiavi’”, dice ancora la Camera Penale di Firenze. “Lo stesso magistrato non è nuovo all’uso di tali toni. Per il dottor Caretto infatti un detenuto rom, in quanto tale, potrebbe di nuovo commettere condotte di reato senza rendersi pienamente conto della gravità. Sempre lo stesso magistrato anni addietro aveva ritenuto non compatibile con l’opera di rieducazione un tentativo di impiccagione del detenuto”. C’è magistrato e magistrato, insomma.