“Sono una sopravvissuta”. C’era un cartello giallo, con una scritta nera… anzi no, questa volta è rossa, colore che simboleggia la lotta delle donne, il sangue che hanno versato per mano di uomini violenti o assassini. Spicca in piazza della Signoria a Firenze, dove si stava svolgendo la manifestazione di QNxleDonne e Comune in occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, quella giovane signora con una felpa colorata, sguardo serio e quel manifesto con quelle poche parole: “I am a survivor” (anche se, nota qualcuno, manca una R, ma non è un piccolo errore che ne sminuisce il significato).
Una testimonianza a bocca chiusa che risuona però con centinaia di voci che gridano “Adesso basta", che si fanno sentire. Tante donne le si avvicinano, le fanno una carezza, l’abbracciano. anche se non si conoscono. La sua storia è quella di tante, troppe altre. Vittima di discriminazioni, di abusi, di molestie, di violenze psicologiche, di stupri. Lei, loro ce l’hanno fatta. Oltre centro, solo quest’anno, no. Loro sono morte per mano di uomini. “Ho denunciato le violenze subite e da oltre due anni lotto per me, per mia figlia che ha appena 7 anni, e per tutte le donne e i bambini come noi. Purtroppo la violenza spesso non viene riconosciuta nonostante le denunce, i referti ospedalieri. E nonostante tutto quello che viene detto, di lottare, che la situazione può cambiare”.
Lei, italo americana a Firenze da vent’anni (non mettiamo il nome per la sua sicurezza), racconta la sua storia e invita a non chiudere gli occhi di fronte alla violenza e a non sminuire le testimonianze di chi lotta per uscire da situazioni difficili, dagli abusi: “Ci possono essere tutte le leggi possibili, ci possono essere le persone più brave del mondo a supportarti, ma se non rispettiamo la Convenzione di Istanbul che protegge le vittime, lasceremo che altre donne e bambine lo diventino. Io continuo a lottare e ringrazio la rete di sostegno che ho attorno, ma non si può stare in silenzio aspettando un cambiamento, senza fare nulla. Io voglio continuare a raccontare la mia storia.
Che è appunto quella di una sopravvissuta a lunghi anni di abusi domestici, che ha deciso di scappare, che ha provato a far valere le proprie ragioni per ottenere l’affidamento della figlia, e giustizia per sé e lei, ma che ancora restano inascoltate. “Io sono una privilegiata ma per tante donne è difficile stare in piazza, perché hanno paura di perdere i loro bambini. Io voglio utilizzare la mia storia perché qualcosa davvero cambi”.
Sì, ci sono gli sportelli d’ascolto, ci sono i centri antiviolenza, “ma non bastano se la società non cambia, perché quando ne esci non sei al sicuro. Il momento più pericoloso è quando una donna decide di chiudere una storia, una relazione tossica, di respingere le violenze. Io l’ho fatto e sono stata aggredita, per strada. Io ho denunciato, tante altre non lo fanno perché dopo non sono tutelate abbastanza”, conclude.