Firenze, 29 giugno 2021 - Mario Spezi arrivò a La Nazione nel 1975 dopo due brevi periodi a ‘Paese Sera’ e a ‘Nazione sera’. Si fece subito un buon gruppetto di amici fra i colleghi anche perché le sue battute erano fulminanti: Pierfrancesco Listri era uno dei suoi bersagli preferiti, sosteneva che la cenere delle sigarette riduceva tutte le sue giacche blu allo stesso colore della sabbia. E Pierfrancesco rideva e automaticamente si spargeva con una mano, la cenere accucciata sul bavero. La sua specialità - non mi ha mai spiegato il perché di tanto amore - era la giudiziaria. Anche la nera, ma la giudiziaria era la sua ragione di vivere. Arrivato dallo spazio ristretto di ‘Nazione sera’ trovò nuove possibilità di scrittura a ‘La Nazione’, dove adattò un suo nuovo modo di far cronaca. Ed ebbe la possibilità di dedicare più tempo ai suoi soggiorni in Procura e in Tribunale. Il suo carattere gli permise di farsi diversi amici nel difficile e spesso chiuso mondo della giustizia. Mi diceva: sono bravissime persone, ma molto ombrose. Un mondo chiuso nel quale è difficile entrare a meno che non ti arrestino.
E fu veggente: la Procura di Perugia, dieci anni dopo ne ordinò l’arresto per una fila di reati che ne facevano un reietto. Passò in prigione 23 giorni parte dei quali in isolamento prima che il Tribunale del Riesame lo rimandasse a casa dalla moglie stabilendo che l’arresto era privo di fondamento. Il suo primo libro sull’inchiesta dei delitti del mostro, ‘Dolci colline di sangue’, fu uno dei motivi dell’arresto per il suo contenuto, che raccontava delle verità attentamente controllate, ma il tema era ostico, intrecciato; alcuni magistrati lo definirono frutto di una inchiesta abborracciata che non stava né in cielo né in terra. Ognuno aveva e continua ad avere le sue conclusioni. Basti pensare che Piero Luigi Vigna, procuratore della Repubblica che aveva fatto dell’inchiesta il caposaldo da portare in giudizio, fu smentito dal sostituto che in Tribunale chiese l’assoluzione del ‘mostro’ sostenendo che l’inchiesta era stata fatta ‘coi piedi’. E i giudici gli dettero ragione: morale, Pacciani è morto innocente e i suoi complici colpevoli. Assurdità nazionali. Mario con questa storia si era fatto nemici avvocati, giudici e funzionari di polizia. Si ‘distrasse’ da tutto questo "grazie" all’uccisione a Perugia della studentessa Meredith Kercher scrivendo con Preston un altro libro sulla morte della ragazza.
Ora arriva il film e non sarà, credo, un lavoro facile, tenendo conto della estrema complessità della storia. Negli ultimi tempi Mario era cambiato: aveva sempre abusato del telefono, ma ora ne era costantemente prigioniero. Prendeva continuamente appunti. Forse pensava a un nuovo libro, me ne aveva anche parlato: rivoluzionava la storia del serial killer, dal primo delitto all’ultimo. Lui non vedrà la sua storia, ma noi che abbiamo vissuto con lui i giorni buoni e cattivi, finiremo per ritrovare il tempo della follia. Ma anche della gioventù.