"C’è stata un’intera classe politica che non ha mai preso l’aereo per Hammamet. Che ha dato prova di tradimento e viltà". A 25 anni dalla morte del padre Bettino, Stefania Craxi ha deciso che era tempo di raccontare in prima persona la storia del leader socialista, e dare le coordinate per capire, se non l’eredità, almeno l’attualità di quel pensiero politico. Si intitola ’All’ombra della storia. La mia vita tra politica e affetti’, il libro, edito da Piemme, presentato ieri dalla stessa autrice al Gabinetto Viesseux, insieme a Riccardo Nencini, oggi presidente del Viesseux, ma anche storico e ultimo segretario del Psi. Erika Pontini, capocronista de La Nazione, ha guidato l’incontro a 360 gradi, in un viaggio fra vicenda giudiziaria e umana, parabole fra i partiti di ieri e gli schieramenti di oggi. E poi i rapporti internazionali di Craxi, l’amicizia con Arafat e la crisi di Sigonella, "che anni dopo avrebbe segnato non di poco nel ciclone di Tangentopoli", ha sottolineato Nencini.
"Questo volume nasce da un moto dell’animo – ha detto Stefania Craxi –. Racconta il mio Craxi, un padre difficile e straordinario. Narra le vicende della nostra famiglia, una famiglia allargata alla grande comunità politica e di amici che per anni ha condiviso tutto".
C’è Berlusconi e c’è Lucio Dalla. Il primo "che si è comportato dopo come mio padre non avrebbe mai fatto – spiega –. Erano amici, per quanto diversissimi: Craxi era figlio dei partiti, a Berlusconi invece la politica annoiava. Ma entrambi credevano nella necessità di modernizzare il Paese. E mio padre riteneva che la tv privata potesse essere un volano per tante piccole imprese che non riuscivano a sbarcare in Rai". Lucio Dalla, invece, l’amico sempre rimasto a fianco, che il giorno della morte di Craxi apre il concerto salutandolo e dedicandogli una canzone. Ma a bruciare ancora è il non risolto di quello status fra l’esilio e la latitanza, che ha impedito a Craxi di tornare in Italia per curarsi da uomo libero; e allo stesso tempo di ricevere l’offerta dei funerali di Stato all’indomani della morte in Tunisia "da parte di un politico piuttosto disinvolto come Massimo D’Alema". "Era un uomo con i piedi nel Risorgimento e lo sguardo lunghissimo nel futuro e ha rinunciato alla sua vita per difendere le sue idee. Perché il dolore per la lontananza era lancinante. E non consentirgli di tornare in Italia a curarsi è stato un atto ignobile".